Nato. Rutte punta al 5% del Pil

di Giuseppe Gagliano

Mark Rutte, nuovo segretario generale della NATO ed ex premier olandese, non ha usato giri di parole: secondo lui, entro il 2030 la Russia potrebbe essere pronta a un attacco militare diretto contro l’Alleanza Atlantica. In un discorso tenuto al prestigioso think tank Chatham House di Londra, Rutte ha delineato lo scenario più cupo per l’Europa: una guerra interstatale in piena regola, che obbligherebbe tutti i membri della NATO a considerarsi “parte del fronte orientale”.
Ma il vero cuore del suo intervento è l’appello, al tempo stesso disperato e calcolato, a un “salto quantico” nella spesa militare. Una strategia che porta con sé implicazioni politiche enormi: aumento del 400% nella difesa aerea e missilistica, milioni di munizioni in più, migliaia di carri armati, rafforzamento delle strutture logistiche, sanitarie e di approvvigionamento. Un piano di riarmo totale, che segna un punto di svolta dopo decenni di investimenti in calo e politiche di disarmo parziale.
L’occasione non è casuale. Tra il 24 e il 26 giugno si terrà all’Aia il vertice NATO che vedrà il ritorno del presidente americano Donald Trump sulla scena euro-atlantica. È proprio in vista di quell’incontro che Rutte rilancia l’idea, sostenuta da Washington, di un nuovo obiettivo di spesa: il 5% del PIL nazionale per la difesa, di cui il 3,5% da destinare a spese puramente militari. L’attuale target del 2%, fissato nel 2014 al vertice in Galles, era stato raggiunto da Paesi come Italia e Spagna solo quest’anno. Ora l’asticella viene alzata di colpo.
La NATO vuole blindarsi contro Mosca. Il 5 giugno, i ministri della Difesa dell’Alleanza hanno approvato nuovi “obiettivi di capacità”, in gran parte classificati. Ma le indiscrezioni parlano chiaro: più F-35 (almeno 700), nuove navi da guerra, droni, missili a lungo raggio, grandi formazioni terrestri, una nuova catena logistica, e soprattutto uno scudo aereo in grado di contrastare la minaccia missilistica russa. Rutte ha avvertito: “La Russia produce in tre mesi quello che la NATO produce in un anno”.
La Germania ha annunciato che, per raggiungere questi obiettivi, avrà bisogno di almeno 50-60.000 soldati in più. Parallelamente, Berlino ha riscoperto l’urgenza della protezione civile. Il capo del BBK (Agenzia Federale per la Protezione Civile), Ralph Tiesler, ha lanciato un piano per rimodernare l’obsoleta rete di bunker, oggi ridotta a 580 strutture operative su 2.000 esistenti durante la Guerra Fredda. Solo il 5% della popolazione tedesca troverebbe oggi rifugio in caso di attacco. L’obiettivo? Raggiungere almeno un milione di posti sicuri, aggiornando tunnel, stazioni metro, garage e scantinati. Il costo stimato: 10 miliardi di euro entro 4 anni, 30 nei successivi dieci.
La retorica dell’urgenza si accompagna però alla consapevolezza geopolitica. Rutte ha cercato di rassicurare gli europei sul fatto che gli Stati Uniti non abbandoneranno l’Europa, nonostante il pivot strategico verso l’Asia e la priorità crescente assegnata alla Cina. Ma ha anche ammesso che il riequilibrio è inevitabile, “logico”, e che l’Europa dovrà imparare a fare molto di più da sola. Tradotto: meno dipendenza da Washington, più armi, più soldati, più spesa.
In controluce si intravede però un’altra dimensione della vicenda: quella commerciale. Perché buona parte dell’hardware militare richiesto – dagli F-35 ai missili – viene dagli Stati Uniti. Il riarmo europeo diventa così anche uno straordinario affare per l’industria bellica americana, mentre la paura diventa lo strumento attraverso cui consolidare la subordinazione economica dell’Europa. Come ha scritto un commentatore, “si sventola la minaccia per imporre la spesa”.
Non è chiaro se la Russia abbia davvero intenzione, o capacità, di attaccare la NATO nel 2030. Ma è evidente che la percezione di una minaccia, amplificata da dichiarazioni come quelle di Rutte, serve da propulsore a un progetto molto più ampio: ridefinire gli equilibri di potere e responsabilità all’interno dell’Alleanza Atlantica, rafforzare il complesso militare-industriale, e ridefinire l’Europa come bastione armato del blocco occidentale, anche a costo di sacrifici economici immensi.