Niger. Il governo militare nazionalizza l’estrazione di uranio, petrolio e oro

di Giuseppe Gagliano –

Il governo di transizione del Niger ha annunciato nei giorni scorsi la decisione di creare due nuove società nazionali per la gestione dell’estrazione di uranio, petrolio e oro, un’iniziativa che rappresenta un passo cruciale verso la sovranità economica del Paese. Queste risorse, che per decenni sono state in gran parte controllate da multinazionali straniere e in particolare francesi, rappresentano la principale ricchezza del Niger, un Paese tra i maggiori esportatori mondiali di uranio, fondamentale per il settore energetico globale, ma con la popolazione in stato di povertà.
L’istituzione delle due nuove società di gestione delle risorse naturali ha l’obiettivo di garantire che il controllo e i profitti derivanti dall’estrazione e dalla vendita di queste materie prime siano maggiormente nelle mani del governo e del popolo nigerino. Questo significa che le entrate ottenute potranno essere reinvestite internamente, con un potenziale impatto positivo su infrastrutture, sanità, istruzione e sviluppo economico.
Dal punto di vista geopolitico il Niger, uno dei principali fornitori di uranio all’Europa, soprattutto alla Francia (che dipende dal combustibile nucleare per il suo mix energetico), sta cercando di ridurre la dipendenza dai contratti e dagli investimenti stranieri che hanno spesso marginalizzato il popolo nigerino nei benefici economici derivanti dalle sue stesse risorse.
Questa decisione rappresenta anche una risposta alle crescenti tensioni interne e alle richieste della popolazione per una maggiore autonomia e controllo sulle risorse del Paese. La misura è, dunque, non solo un simbolo di autonomia economica, ma anche un segnale forte rivolto alle potenze straniere che hanno a lungo sfruttato le ricchezze del Niger senza garantire benefici sufficienti alla popolazione locale.
In conclusione, la creazione di queste due società di patrimonio nazionale è una mossa strategica che potrebbe segnare l’inizio di un nuovo capitolo per il Niger, dove la gestione delle risorse naturali è al centro delle politiche di sviluppo nazionale e della lotta per la sovranità economica del Paese.
Tuttavia la creazione di due società di patrimonio nazionale per la gestione delle risorse naturali del Niger potrebbe potenzialmente incrementare la corruzione, sia a livello politico che militare, se non verranno implementate adeguate misure di trasparenza e controllo. Questo rischio esiste in particolare nei Paesi con istituzioni deboli o con un passato di instabilità politica e corruzione.
Il settore delle risorse naturali è notoriamente vulnerabile alla corruzione, specialmente quando grandi quantità di denaro sono in gioco e la supervisione è insufficiente. Senza un sistema forte di governance, la gestione centralizzata delle risorse potrebbe diventare un’opportunità per arricchire le élite politiche o militari che controllano l’accesso alle risorse o la distribuzione dei profitti. In alcuni casi, le forze militari potrebbero essere coinvolte nella protezione delle risorse o degli impianti di estrazione, il che potrebbe dare loro maggiore influenza politica ed economica, aumentando il rischio di abuso di potere.
Infatti il Niger ha una lunga storia di corruzione legata alla gestione delle sue risorse naturali, inclusi i settori dell’uranio e del petrolio. Di seguito alcuni esempi recenti e meno recenti che coinvolgono leader politici e militari del Paese.
Uno degli scandali più noti è quello legato alla cosiddetta “Uraniumgate” del 2017. In quell’anno, documenti trapelati rivelarono che funzionari del governo nigerino, incluso l’ex ministro delle finanze Hassoumi Massaoudou, erano stati coinvolti in un accordo poco trasparente con la compagnia francese Areva (ora Orano), leader mondiale nell’estrazione di uranio. L’accordo includeva la vendita di uranio proveniente dalle riserve strategiche del Niger a un’azienda intermedia legata a personalità politiche nigerine, con guadagni che non sembravano riflettersi adeguatamente nei conti pubblici del Paese.
Nel 2020 è emerso un importante scandalo legato agli acquisti militari. Un’indagine ha scoperto che centinaia di milioni di dollari destinati all’acquisto di attrezzature militari per combattere il terrorismo erano stati mal gestiti o sottratti attraverso sovrapprezzi e contratti falsi. Le accuse coinvolgevano alti funzionari militari e membri del governo, sollevando preoccupazioni su come i fondi pubblici fossero gestiti nel contesto di insicurezza nazionale.
Anche il settore petrolifero ha visto casi di corruzione. Uno dei più recenti coinvolge presunti accordi non trasparenti con compagnie petrolifere cinesi, che hanno portato a proteste nel Paese. Le concessioni petrolifere, spesso negoziate a porte chiuse, hanno sollevato dubbi sul fatto che i profitti fossero realmente redistribuiti in favore della popolazione o se servissero principalmente a beneficiare le élite politiche e militari.