Niger. Il tramonto dell’influenza francese nel Sahel: il caso Orano

di Giuseppe Gagliano

Il controllo assunto dalla giunta militare del Niger sulle operazioni di estrazione dell’uranio di Orano rappresenta l’ennesima dimostrazione del declino dell’influenza francese nel Sahel e, più in generale, nel continente africano. Questa vicenda non è un semplice problema economico legato a una multinazionale, ma il simbolo di un fallimento politico e strategico di Parigi nel mantenere relazioni stabili e costruttive con i suoi ex territori coloniali.
L’uranio del Niger ha rappresentato per decenni una risorsa cruciale per la Francia, alimentando il suo vasto programma nucleare civile e contribuendo alla sua autonomia energetica. Basti pensare che prima del colpo di stato, il 15-20% delle importazioni di uranio francesi proveniva da questo Paese. Tuttavia, l’atteggiamento paternalistico e le politiche estrattive adottate da Parigi hanno sempre più alienato il consenso delle popolazioni locali, fino a condurre alla crisi attuale.
La decisione della giunta nigerina di sospendere le operazioni di Orano e di rivedere le norme che regolano lo sfruttamento delle risorse minerarie riflette una tendenza che sta emergendo in tutta l’Africa: il desiderio di rivendicare una maggiore sovranità sulle proprie ricchezze naturali. Per anni i paesi africani hanno assistito allo sfruttamento intensivo delle loro risorse da parte di multinazionali occidentali, spesso senza significativi benefici economici o sociali per le comunità locali.
Nel caso del Niger, il controllo diretto sulle operazioni di estrazione dell’uranio è stato giustificato con la necessità di riformare il sistema per garantire che le ricchezze minerarie del paese possano essere meglio utilizzate a vantaggio della popolazione. La giunta ha trovato terreno fertile per giustificare queste misure nella retorica anti-coloniale e sovranista che, sempre più, trova consenso in un continente stanco delle interferenze occidentali.
La Francia, dal canto suo, ha mostrato una pericolosa mancanza di visione strategica. Nonostante decenni di relazioni economiche e militari con il Niger, Parigi non è riuscita a prevenire il deteriorarsi delle relazioni bilaterali. Il colpo di stato dello scorso luglio ha messo in discussione l’intero sistema di alleanze francesi nella regione, culminando con l’espulsione delle truppe francesi dal Paese.
Questo declino non è solo il risultato di errori tattici, ma riflette un fallimento più ampio: l’incapacità di rinnovare le relazioni con l’Africa in un contesto globale mutato, dove potenze come Russia e Cina si presentano come alternative più attraenti e meno intrusive per molti governi africani.
Il Niger non è un paese qualsiasi. Oltre a rappresentare circa il 5% della produzione mondiale di uranio, è situato in una regione strategica per il controllo del Sahel, un’area chiave nella lotta al terrorismo e nei flussi migratori verso l’Europa. La perdita di influenza francese in Niger non riguarda solo l’uranio, ma mina l’intera strategia di Parigi per mantenere una posizione dominante in Africa occidentale.
Le nuove alleanze che la giunta nigerina sta cercando di costruire con altri attori internazionali – come Mosca e Pechino – segnano un ulteriore passo verso un ordine multipolare in cui la Francia rischia di essere relegata ai margini.
Il caso Orano è solo l’ultimo tassello di un mosaico più ampio: la progressiva erosione del neocolonialismo francese in Africa. Parigi si trova ora a fare i conti con una realtà in cui i suoi ex partner non sono più disposti ad accettare un rapporto di subordinazione economica e politica.
Per il Niger questa svolta potrebbe rappresentare un’occasione per rivendicare una maggiore autonomia e per cercare nuovi modelli di sviluppo. Per la Francia, invece, è un monito: senza una revisione profonda delle sue politiche in Africa, il rischio è quello di un isolamento sempre più marcato in una regione che, per decenni, ha considerato il proprio “cortile di casa”.
Questo evento segna una svolta: non è solo la fine di un’era per il Niger e per la Francia, ma un segnale per tutto l’Occidente. L’Africa non è più disposta a tollerare vecchie dinamiche di sfruttamento, e chi non saprà adattarsi a questo cambiamento sarà destinato a perdere.