Oggi è l’Overshoot Day italiano

di C. Alessandro Mauceri

Presi dall’emergenza e dalla frenesia per il Covid-19 e dalle conseguenze sanitarie ed economiche, di ambiente non si parla più. Anche la COP26, che avrebbe dovuto svolgersi a novembre a Glasgow, in Scozia, è stata rimandata a data da destinarsi, al contrario delle partite di calcio che si “devono” giocare e subito.
Figurarsi se in questo quadro a qualcuno possa interessare di sapere che cosa accade il 14 maggio.
Il 14 maggio è l’Overshoot Day italiano, il giorno in cui si esaurirebbero le risorse se tutti gli abitanti della Terra si comportassero come fa l’Italia. Per fortuna non tutti sono altrettanto “spreconi” e la data in cui si celebrerà l’Overshoot Day mondiale dovrebbe cadere tra qualche mese, il 29 luglio.
Due date, un solo argomento, tanti spunti di riflessione.
Il primo è che questo giorno cade ogni anno sempre prima. Ciò significa che stiamo sfruttando le risorse naturali in modo sempre più irrazionale, che stiamo consumando le risorse che il nostro pianeta ci mette a disposizione come se ne avessimo a disposizione non uno, ma ben due (o quasi: 1,7 circa). Nel 1987, ben prima dell’introduzione delle COP e anche della firma del primo protocollo di Kyoto, la Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo WCED, guidata da Gro Harlem Brundtland, ministro norvegese, pubblicò un documento noto come Rapporto Brundtland o come Our Common Future nel quale per la prima volta veniva definito e introdotto il concetto di “sviluppo sostenibile”: “Uno sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri”.
Da allora, nonostante gli accordi internazionali, le conferenze per l’ambiente, le promesse fatte dai paesi e dai governi che si sono succeduti non hanno fatto altro che far peggiorare la situazione e far aumentare la “pressione” che esercitiamo sulla capacità delle risorse terrestri di “ricaricarsi”.
A confermarlo è l’impronta ecologica dei singoli paesi e nel suo insieme quella della Terra. Anno dopo anno i paesi più sviluppati della Terra mettono sempre più a rischio la biocapacità globale, cioè la capacità del pianeta di rigenerare risorse naturali.
Il secondo aspetto importante (ma anche di questo molti governi e i loro media preferiscono non parlare) è che esiste una radicale differenza tra quanto vengono sfruttate le risorse naturali dai paesi “sviluppati” e quanto invece fanno i paesi considerati meno sviluppati se non addirittura sottosviluppati e poveri. Quella dei paesi sviluppati è una ricchezza che costa al pianeta l’esaurimento delle risorse naturali prima che la Terra riesca a rigenerarle. A dimostrare qual è il costo nascosto di questo sviluppo, di questo consumismo sfrenato, basta vedere le date in cui i singoli paesi raggiungono il proprio Overshoot Day.
Ai primissimi posti ci sono alcuni paesi arabi, che grazie alle risorse petrolifere di cui dispongono pensano di poter fare tutto ciò che vogliono all’ambiente, e soprattutto molti paesi sviluppati: gli Stati Uniti d’America hanno già raggiunto il loro “punto di non ritorno” il 14 marzo, da allora in poi stanno vivendo sfruttando le risorse di altri paesi o causando danni irreversibili alle risorse incuranti delle generazioni future. Eppure nessun candidato alla Casa Bianca ne ha parlato, tranne forse Bernie Sanders che però si è chiamato fuori dai giochi. Subito dopo gli USA vi sono altri paesi “sviluppati”: Canada, Australia, Lussemburgo e perfino alcuni paesi “verdi” per antonomasia come la Danimarca, la Finlandia e la Svezia, che non sono riusciti ad andare oltre i primi giorni di Aprile.
All’altro capo di questa classifica troviamo l’Indonesia, un paese sorprendentemente quasi sostenibile: raggiunge il suo Overshoot Day il 18 dicembre. A seguirlo, l’Ecuador (14 dicembre), l’Iraq (7 dicembre) e il Nicaragua (5 dicembre). Tutti paesi di cui i media parlano solo quando c’è da riportare notizie negative, mai per lodare il fatto che riescono a vivere in modo ben più sostenibile della maggior parte dei paesi sviluppati.
In un mondo dove lo spreco e il consumismo prevalgono su tutto il resto, parlare di impronta ecologica, di impronta idrica o di qualsiasi altri strumento che possa mettere in evidenza il “bilancio ecologico” di una nazione, rappresentarne “i costi” sull’ambiente è scomodo. Forse è anche per questo motivo che, come spiega il Global Footprint Network, l’organizzazione che ogni anno calcola l’Overshoot Day, pochi si prendono la briga di analizzare e agire sulle “aree biologicamente produttive necessarie a produrre cibo, fibre e legname che la popolazione di quel paese consuma, ad assorbire i materiali di scarto come le emissioni di CO2, prodotti per generare l’energia che un Paese utilizza e a sostentare le infrastrutture che il paese realizza”. E di valutare come queste risorse vengono utilizzate.
E di Overshoot Day non parla nessuno. Anche in Italia.