di C. Alessandro Mauceri –
Nei giorni scorsi Anna Nikolajevna Kalinskaja, una delle più forti tenniste russe, è finita sui giornali. Ma non solo per il suo rapporto con il numero uno al mondo del tennis, Yannik Sinner, bensì per il suo rifiuto di partecipare alle Olimpiadi di Parigi.
Il motivo sono le regole che le impedirebbero di farlo con i colori della nazionale russa. Le Olimpiadi sono la massima aspirazione per ogni atleta, prendere una decisione come questa è segno di un grande carattere, ma anche di voler richiamare l’attenzione su una situazione che ormai va avanti da molto, troppo tempo. Non si capisce, infatti, per quale motivo agli atleti russi (e ai loro compagni bielorussi) debba essere vietato indossare i colori della propria nazionale, mentre agli atleti di altri paesi non viene posta alcuna limitazione. A cominciare da Israele. Su questo paese, anzi sul presidente, pende una condanna per genocidio e un’altra per aver violato numerosi trattati sui diritti dei minori in condizioni di guerra. Eppure nessuno ha mai nemmeno osato proporre di impedire agli atleti israeliani di indossare i colori della propria bandiera. L’elenco dei paesi condannati per gravi violazioni di diritti umani è lunghissimo. Solo per citare le ultime sentenze, c’è quella del 3 luglio contro il Myanmar per genocidio, quella della metà di febbraio contro la Siria per l’Applicazione della convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, quella contro l’Azerbajan per l’Applicazione della convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale (Armenia vs. Azerbaigian) del novembre 2023. L’elenco dei paesi che hanno ricevuto una condanna o una segnalazione alla Corte di giustizia internazionale è lunghissimo, interminabile. Eppure a nessuno di questi paesi, nemmeno quelli attualmente in guerra, nemmeno a quelli che hanno palesemente ripetutamente violato i diritti umani, nemmeno a quelli che continuano a massacrare bambini innocenti è stato proibito di partecipare alle Olimpiadi o di farlo senza poter indossare i colori del proprio paese.
Tanto più che a poche settimane dall’inizio dei Giochi Olimpici di Parigi a far parte del Comitato Olimpico ci sono anche due russi. Yelena Isinbaeva, ex detentrice del record mondiale di salto con l’asta, e l’ex tennista Shamil Tarpischev. E a loro non solo non è stato impedito di far parte del Comitato Olimpico Internazionale, ma sono presentati sul sito ufficiale con accanto la bandiera del proprio paese, la bandiera russa. Un privilegio che a loro è stato concesso. Agli atleti che hanno dedicato la propria vita per partecipare alle Olimpiadi e che non hanno nulla a che fare con il conflitto con l’Ucraina, invece no. Come specifica il sito ufficiale, “I membri del CIO, persone fisiche, sono rappresentanti del CIO nei rispettivi paesi, e non delegati del loro paese all’interno del CIO”. Secondo la Carta olimpica: “I membri del CIO rappresentano e promuovono gli interessi del CIO e del Movimento olimpico nei rispettivi paesi e nelle organizzazioni del Movimento olimpico in cui prestano servizio”.
Il CIO non solo ha vietato agli atleti e alle atlete russi e bielorussi di indossare i colori del proprio paese, ma anche di partecipare alla cerimonia inaugurale e in caso di piazzamenti di rilievo le medaglie vinte dagli atleti neutrali non potranno essere conteggiate nel medagliere. Ma non basta. Mentre le gare di atletica continueranno a essere precluse agli sportivi provenienti da questi due Stati, gli atleti di altri sport sono stati riammessi ma a determinate condizioni; (ad esempio, già dall’autunno scorso il pugilato aveva riammesso atleti russi con bandiera e inno nazionale; altre federazioni internazionali avevano ammesso gli sportivi di Mosca e Minsk in forma neutrale per competere nel tiro con l’arco, nella scherma, nello skateboard, nel judo, nel pentathlon moderno, nel tennistavolo, nel taekwondo, nel triathlon, nella lotta, nel tiro a segno e nella canoa. Russi e bielorussi continuano a essere esclusi dalle qualificazioni di atletica leggera, nuoto e ginnastica. Una ingiustizia nell’ingiustizia.
Qualche decennio fa, nel 1980, i Giochi Olimpici si svolsero a Mosca. Poco prima l’URSS aveva invaso l’Afghanistan. Carter, presidente degli Stati Uniti d’America, minacciò il ritiro della sua squadra dai Giochi se i sovietici non avessero lasciato l’Afghanistan. Al rifiuto dell’URSS, Carter boicottò i giochi insieme a molti paesi della NATO. Ma non tutti. Quattro anni dopo per i Giochi del 1984, a Los Angeles, l’URSS annunciò la propria volontà di astenersi, ufficialmente per motivi di sicurezza. Altri paesi comunisti la seguirono: Germania Est, Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia, Bulgaria, e alcuni paesi extraeuropei come Cuba, Etiopia, Corea del Nord e Afghanistan; solo la Romania decise di essere presente.
Erano gli anni della Guerra Fredda. Ma la decisione di partecipare o meno alle Olimpiadi fu presa dai singoli Stati senza nessun dictat da parte del Comitato Olimpico. Oggi invece è proprio il CIO ad aver imposto il veto ad alcuni paesi. E senza spiegare il motivo di una simile discriminazione.
Molti pensano che il motto dei Giochi Olimpici sia “L’importante non è vincere ma partecipare”. Comunemente attribuito a de Coubertin, pedagogista e storico francese, in realtà, come lui stesso ammise, fu pronunciato per la prima volta dall’arcivescovo della Pennsylvania, Ethelbert Talbot, nella cattedrale di San Paolo di Londra, in occasione delle Olimpiadi del 1908, a sua volta riferito al detto greco: “L’importante non è vincere, ma partecipare con spirito vincente “. Pochi sanno che, dal 20 luglio 2021 la Sessione del Comitato Olimpico Internazionale ha approvato una modifica del motto olimpico. Il nuovo motto è “più veloce, più in alto, più forte – Insieme” (“Citius, Altius, Fortius – Communiter”).
Decidendo di non partecipare ai Giochi Olimpici di Parigi la Kalinskaya ha dimostrato di essere più veloce (nel prendere le decisioni), più in alto (per non essersi abbassata a inutili e ridicoli giochi di potere) e più forte. Più forte di chi avrebbe voluto che un atleta rinunciasse alla propria dignità e al proprio orgoglio. La Kalinskaya non si è prestata a quelli che sembrano solo giochi di potere fatti male, senza regole e senza vincitori. Ha dimostrato di essere una vera campionessa e di rispettare il motto delle Olimpiadi. Forse anche più degli stessi organizzatori delle Olimpiadi.