Olio di palma: Amnesty International denuncia lo sfruttamento dei lavoratori

di C. Alessandro Mauceri

Amnesty International ha denunciato le multinazionali che producono e utilizzano olio di palma. Oggetto delle critiche non sono le conseguenze dell’uso di questo prodotto in molti alimenti o la deforestazione per le piantagioni, ma le condizioni a cui sono costretti i lavoratori della produzione. Nel rapporto dal titolo “Il grande scandalo dell’olio di palma: violazioni dei diritti umani dietro i marchi più noti”, Amnesty International ha attaccato il gigante Wilmar (160 impianti in 20 paesi e 60mila lavoratori) che produce olio di palma per multinazionali presenti in oltre 50 paesi. Amnesty parla di donne e minori constretti a condizioni di lavoro al limite dello schiavismo e dell’indifferenza delle multinazionali che acquistano questo prodotto dal colosso indocinese come Afamsa, Adm, Colgate-Palmolive, Elevance, Kellogg’s, Nestlé, Procter & Gamble, Reckitt Benckiser e Unilever.
Nel rapporto si parla di bambini dagli 8 ai 14 anni costretti a lavorare nelle piantagioni a Sumatra e nel Kalimantan. Anche le donne sono soggette ad uno sfruttamento al limite dallo schiavismo: fino a 12 ore al giorno di duro lavoro per ricevere, nel migliore dei casi, un compenso di 2,5 dollari al giorno, ben al di sotto della soglia media nazionale. Ma non basta: questi lavoratori non sono protetti contro i pesticidi come il “paraquat” largamente utilizzati nelle piantagioni.
Wilmar da sempre ha dichiarato di avere tutte le carte in regola, e per dimostrarlo ha chiamato in causa la RSPO-Roundtable on Sustainable Palm Oil (Tavola sull’olio di palma sostenibile), un’associazione no profit istituita nel 2004 dopo lo scandalo sull’olio da palma e che riunisce gli stakeholder della filiera dell’olio di palma, Ong ambientaliste, sociali o di sviluppo, produttori di olio di palma, operatori commerciali o raffinatori, produttori di beni di consumo, rivenditori, banche e investitori, per sviluppare e implementare standard globali per la produzione di olio di palma. RSPO per contro ha detto che “riconosce l’esistenza di gravi problemi legati alla tutela dei lavoratori e dei diritti umani nel settore dell’agricoltura intensiva a livello mondiale. La produzione di olio di palma non fa eccezione in questo senso. Questi problemi si manifestano maggiormente in contesti caratterizzati da povertà, scarsa legalità e presenza di vuoti legislativi, come sottolinea Amnesty, che rendono ancora più ardua la sfida di fare dell’agricoltura, e segnatamente della produzione dell’olio di palma, un’attività davvero sostenibile”.
Delle aziende finite nel mirino di Amnesty International per aver utilizzato l’olio da palma prodotto in queste piantagioni sette (Afamsa, Adm, Colgate-Palmolive, Elevance, Nestlè, Reckitt Benckiser e Kelloggs) presentavano olio da palma prodotto in quei siti. Altre due (Procter & Gamble e Unilever) hanno ammesso di utilizzare olio di palma proveniente dalle piantagioni della Wilmar in Indonesia ma non hanno specificato esattamente da quale raffineria si riforniscono. “Le aziende stanno chiudendo un occhio di fronte allo sfruttamento dei lavoratori nella loro catena di fornitura. Nonostante assicurino i consumatori del contrario, continuano a trarre benefici da terribili violazioni dei diritti umani. Le nostre conclusioni dovrebbero scioccare tutti quei consumatori che pensano di fare una scelta etica acquistando prodotti in cui si dichiara l’uso di olio di palma sostenibile”, ha detto Meghna Abraham di Amnesty International.
Lo scorso anno, le aziende finite nel mirino di Amnesty International hanno dichiarato utili per oltre 300 miliardi di dollari. Soldi sporchi ottenuti anche grazie al basso costo dei semilavorati e delle materie acquistate sfruttando donne e bambini per produrre olio di palma.