Oman. Il sultano Hitham vede Putin per joint venture energetiche

di Giuseppe Gagliano

Nel silenzio ovattato delle sale del Cremlino si è consumato nei giorni scorsi un incontro che potrebbe riscrivere una pagina dell’energia nel Golfo. Il sultano Haitham dell’Oman, accompagnato da una nutrita delegazione di alti funzionari del settore energetico e finanziario, ha stretto la mano a Vladimir Putin. Più di un incontro diplomatico: una negoziazione tra potenze in cerca di respiro strategico. La posta in gioco? Il gas naturale liquefatto, ma anche qualcosa di più: un corridoio geopolitico alternativo, resistente alle sanzioni occidentali e capace di riannodare i fili dell’influenza russa nel Golfo Persico.
Putin non ha perso tempo. Ha proposto joint venture energetiche con l’Oman, mettendo sul tavolo l’expertise di Rosneft per l’upstream e un’interlocuzione diretta con Oman LNG, con l’intento di posizionarsi all’interno della catena di valore energetica del piccolo ma strategico sultanato. La proposta russa non è solo economica: è anche geopolitica. Creare un “corridoio immune da sanzioni” significa aggirare l’architettura sanzionatoria euro-atlantica e rilanciare la penetrazione russa nella regione, sfruttando la neutralità pragmatica di Mascate.
L’Oman da parte sua ascolta con cautela ma senza chiusure. Non è un attore passivo. Il sultanato, stretto tra le ambizioni iraniane, l’influenza saudita e le basi americane nel Golfo, sa che il vero potere oggi si gioca nella diversificazione delle alleanze. La guerra in Ucraina ha aperto crepe, ma anche opportunità. E l’Oman, da tempo in cerca di investimenti strategici per valorizzare i suoi giacimenti e potenziare l’export GNL, vede nella Russia un partner in cerca di rivincita.
Ma a quale prezzo? Le richieste del sultanato sono chiare: trasferimento tecnologico, garanzie di stabilità a lungo termine e protezione dall’instabilità legata al sistema SWIFT e ai rischi reputazionali connessi alla cooperazione con Mosca. Il Cremlino ha garantito piena disponibilità a soluzioni creative, inclusi sistemi di pagamento alternativi e partnership triangolari con Paesi asiatici.
Il dossier resta aperto, ma il senso dell’incontro è già chiaro: la geoeconomia del gas si sta sganciando dall’unipolarismo atlantico. In questa nuova logica l’Oman, piccolo, agile, geopoliticamente elastico, diventa prezioso. E la Russia, sempre più costretta a giocare sul piano della resilienza sistemica, cerca nuove porte da aprire verso sud.
Una convergenza fragile, certo. Ma potenzialmente dirompente per l’equilibrio energetico del Golfo.