
di C. Alessandro Maceri –
Con 161 voti a favore e otto astensioni (Cina, Federazione Russa, Bielorussia, Cambogia, Iran, Siria, Kirghizistan ed Etiopia), l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione storica: da oggi vivere in un ambiente pulito, sano e sostenibile è riconosciuto come un diritto umano universale. Una decisione “storica” accolta con grande gioia dal segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, per il quale questo dimostra che gli stati membri possono unirsi nella lotta collettiva contro la triplice crisi planetaria del cambiamento climatico, della perdita di biodiversità e dell’inquinamento: “La risoluzione contribuirà a ridurre le ingiustizie ambientali, colmare le lacune di protezione e responsabilizzare le persone, in particolare quelle che si trovano in situazioni vulnerabili, compresi i difensori dei diritti umani ambientali, i bambini, i giovani, le donne e le popolazioni indigene”, si legge nella dichiarazione rilasciata dal suo portavoce.
Il testo del documento approvato dalle Nazioni Unite era stato presentato da Costa Rica, Maldive, Marocco, Slovenia e Svizzera lo scorso giugno, e poi co-sponsorizzato da oltre 100 paesi. In esso si ribadisce che il diritto a un ambiente sano è legato al diritto internazionale esistente e che la sua promozione richiede la piena attuazione di accordi ambientali multilaterali. Si riconosce inoltre che l’impatto dei cambiamenti climatici, la gestione e l’uso non sostenibili delle risorse naturali, l’inquinamento dell’aria, del suolo e dell’acqua, la cattiva gestione delle sostanze chimiche e dei rifiuti e la conseguente perdita di biodiversità interferiscono con il godimento di questo diritto, e che il danno ambientale ha implicazioni negative, sia dirette che indirette, per l’effettivo godimento di tutti i diritti umani.
In una dichiarazione l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Michelle Bachelet ha sottolineato l’importanza della decisione approvata dell’Assemblea: “Oggi è un momento storico”, ha dichiarato, “ma non basta affermare semplicemente il nostro diritto a un ambiente sano. La risoluzione dell’Assemblea generale è molto chiara: gli stati devono attuare i loro impegni internazionali e aumentare i loro sforzi per realizzarlo. Soffriremo tutti effetti molto peggiori dalle crisi ambientali, se non lavoriamo insieme per evitarli collettivamente”.
A fargli eco Guterres: “La comunità internazionale ha dato un riconoscimento universale a questo diritto e ci ha avvicinato a renderlo una realtà per tutti”, ha detto. Anche lui, però, ha sottolineato come l’adozione della risoluzione “è solo l’inizio”. Per questo ha esortato le nazioni a rendere questo diritto recentemente riconosciuto “una realtà per tutti, ovunque”.
Il punto fondamentale infatti è che questo diritto ora riconosciuto non è un obbligo. Non è vincolante. Secondo il relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani e l’ambiente, David Boyd, la decisione dell’Assemblea cambierà la natura stessa del diritto internazionale dei diritti umani: “I governi hanno fatto promesse per ripulire l’ambiente e affrontare l’emergenza climatica per decenni, ma avere il diritto a un ambiente sano cambia la prospettiva delle persone dal ‘mendicare’ alla richiesta ai governi di agire”.
Un passo avanti non definitivo e che ha richiesto mezzo secolo per essere raggiunto, segno di quanto i governi tengono all’ambiente. Nel 1972 l’United Nations Conference on the Environment di Stoccolma si concluse con una storica dichiarazione che metteva per la prima volta le questioni ambientali al primo posto delle preoccupazioni internazionali. Questo documento segnò l’avvio di un dialogo tra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo sul legame tra crescita economica, inquinamento dell’aria, dell’acqua e degli oceani, e benessere delle persone in tutto il mondo. Con quel documento gli stati membri dell’ONU riconobbero che le persone avessero un diritto fondamentale a “un ambiente di qualità che consenta una vita di dignità e benessere”, chiedendo un’azione concreta e il riconoscimento di questo diritto.
Ad ottobre 2021 dopo quasi 50 anni di lavoro da parte di nazioni in prima linea nella lotta ai cambiamenti climatici e l’azione di centinaia e centinaia di organizzazioni della società civile, l’Human Rights Council, il Consiglio per i Diritti Umani, finalmente riconobbe questo diritto. E invitò formalmente l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a fare lo stesso.
Il percorso che ha portato alla decisione dei giorni scorsi è stato lungo e non privo di ostacoli: “Da un punto d’appoggio nella Dichiarazione di Stoccolma del 1972, il diritto è stato integrato nelle costituzioni, nelle leggi nazionali e negli accordi regionali. La decisione di oggi eleva il diritto a dove appartiene: il riconoscimento universale”, ha detto il capo dell’Ambiente delle Nazioni Unite, Inger Andersen, in una dichiarazione rilasciata la scorsa settimana. Da allora, questo diritto è stato integrato nelle costituzioni, nelle leggi nazionali e negli accordi regionali.
Tutto questo non è bastato a fermare chi faceva e continua a fare danni all’ambiente. Ma con il documento approvato nei giorni scorsi quel diritto sale di livello e lo scontro con chi inquina sale su un gradino più alto: quello di riconoscimento universale. Resta il dispiacere di non essere riusciti a rendere questo accordo legalmente vincolante lo rende debole.
La speranza è che per completare questo percorso non si debba attendere un altro mezzo secolo. Altri cinquanta anni per fornire una risposta concreta a quelle che il segretario generale delle Nazioni Unite, ha definito le tre principali minacce ambientali che l’umanità deve attualmente affrontare: il cambiamento climatico, l’inquinamento e la perdita di biodiversità, tutte menzionate nel testo della risoluzione.
Le conseguenze dei cambiamenti climatici stanno diventando sempre più evidenti, attraverso l’aumento dell’intensità e della gravità della siccità, della scarsità d’acqua, degli incendi, dell’innalzamento del livello del mare, delle inondazioni, dello scioglimento dei ghiacci polari, delle tempeste catastrofiche e del declino della biodiversità.
Dal canto suo l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha confermato che l’inquinamento atmosferico è la più grande causa di malattie e morte prematura nel mondo: ogni anno, oltre sette milioni di persone muoiono prematuramente a causa dell’inquinamento.
Quanto al declino o alla scomparsa della diversità biologica, che comprende animali, piante ed ecosistemi, il suo impatto sulle forniture alimentari, sull’accesso all’acqua pulita e sulla vita come la conosciamo è ancora oggetto di discussione tra chi conosce bene la situazione e chi, invece, cerca di screditare le fonti scientifiche per tutelare interessi economici e speculazioni.