Oxfam, ‘la crisi climatica affama il mondo’

Cs Oxfam

Nei 10 paesi maggiormente colpiti dalla crisi climatica è più che raddoppiato in 6 anni il numero di persone che soffrono la fame, passato da 21 a 48 milioni. 18 milioni sono sull’orlo della carestia
I profitti realizzati in 18 giorni dai colossi dell’energia da combustibili fossili sono equivalenti alle risorse necessarie per rispondere a tutte le crisi umanitarie nel 2022. Un’addizionale di appena l’1% sui profitti del settore, permetterebbe di colmare gli ammanchi finanziari per far fronte all’aumento della fame globale
Un nuovo rapporto, pubblicato in occasione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, fotografa l’emergenza in corso
Appello urgente ai leader mondiali perché vengano assunte misure immediate per il taglio delle emissioni, il risarcimento dei danni ai paesi poveri e la tassazione dei super profitti delle grandi compagnie.

In soli 6 anni il numero di persone colpite dalla fame è più che raddoppiato nei 10 paesi che hanno registrato il maggior numero di eventi climatici estremi: erano 21 milioni nel 2016, oggi sono 48 milioni, 18 milioni dei quali realmente sull’orlo della carestia.
Siccità, desertificazione, cicloni e alluvioni sempre più frequenti stanno mettendo a rischio milioni di vite nei contesti più vulnerabili del pianeta. Per far fronte alle crisi umanitarie che ne conseguono servono 49 miliardi di dollari, ossia la cifra richiesta dalle Nazioni Unite nell’appello per il 2022: un ammontare equivalente ai profitti realizzati in meno di 18 giorni dalle grandi aziende energetiche dei combustibili fossili.
È l’allarme lanciato da Oxfam, con un nuovo rapporto pubblicato oggi, in vista dell’Assemblea annuale delle Nazioni Unite di questa settimana e della Cop27 sui cambiamenti climatici di novembre.
“La crisi climatica non è più un’emergenza pronta ad esplodere, ma una realtà di portata epocale che si sta consumando sotto i nostri occhi. – ha detto Francesco Petrelli, policy advisor per la sicurezza alimentare di Oxfam Italia – Il numero di eventi climatici sempre più estremi e imprevedibili è cresciuto di ben 5 volte nell’ultimo mezzo secolo. Per milioni di persone già colpite dagli effetti della guerra in Ucraina e dalle crescenti disuguaglianze, è impossibile fronteggiare i disastri climatici. Basti pensare che tra il 2010 e il 2019 i danni materiali diretti e indiretti dovuti al clima sono stati in media di 3,43 milioni di dollari al giorno. Siamo di fronte ad una tempesta perfetta che produce una crescita esponenziale della fame globale, per la quale devono essere adottate misure urgenti, radicali e non più rinviabili. Di questo passo tra il 2030 e il 2050 fino a 720 milioni di persone – ovvero 1 abitante su 11 del pianeta – rischia di ritrovarsi in condizioni di povertà estrema a causa della crisi climatica”.

La mappa della disuguaglianza climatica.
I 10 Paesi al mondo più colpiti da eventi climatici estremi negli ultimi 20 anni sono Somalia, Haiti, Gibuti, Kenya, Niger, Afghanistan, Guatemala, Madagascar, Burkina Faso e Zimbabwe.
Stati che, pur pagando il prezzo più alto del cambiamento climatico, messi assieme sono responsabili di appena lo 0,13% delle emissioni globali di CO2 in atmosfera, mentre i Paesi del G20 ne producono il 76,60%. Con i Paesi G7 che impattano da soli per quasi la metà delle emissioni globali a fronte di una capacità di risposta e adattamento nemmeno lontanamente paragonabile a quella di questi 10 paesi.
Gli effetti più drammatici della crisi climatica si riscontrano in questo momento nei seguenti stati:

– Somalia – al 172° posto su 182 paesi per la capacità di risposta alla crisi climatica – con la peggiore siccità mai registrata, una carestia già in corso nei distretti di Baidoa e Burhakaba e 1 milione di persone costrette a lasciare le proprie case per sopravvivere;

– Kenya, dove la siccità ha ucciso quasi 2,5 milioni di capi di bestiame e lasciato 2,4 milioni di persone senza cibo, tra cui centinaia di migliaia di bambini;

– Niger, con 2,6 milioni di persone che soffrono di fame acuta (+767% rispetto al 2016), mentre la produzione di cereali è crollata di quasi il 40% per l’impatto di alluvioni, siccità e del conflitto che attraversa il Paese;

– Burkina Faso dove i livelli di fame sono cresciuti del 1350% dal 2016, con oltre 3,4 milioni di persone senza cibo a causa del conflitto in corso nel paese e del processo di desertificazione che sta bruciando campi e pascoli;

– Guatemala, dove una gravissima siccità ha contribuito alla perdita di quasi l’80% del raccolto di mais e devastato le piantagioni di caffè.

“Non abbiamo mangiato per otto giorni e ho dovuto vendere la terra dove non cresceva più niente per la siccità”, testimonia Mariana López, madre, che vive a Naranjo, nel Corridoio Secco del Guatemala.

L’Africa produce il 2% delle emissioni, ma entro il 2030 118 milioni di persone saranno colpite dalla crisi climatica.
Una catastrofe destinata a peggiorare se le temperature medie globali supereranno i 2°C di aumento (rispetto al periodo pre-industriale), con le produzioni di cereali come miglio e sorgo che potrebbero calare fino al 25% in paesi con Kenya e Burkina Faso. Nel complesso, l’Africa produce appena il 2% alle emissioni globali di CO2, ma gli effetti del cambiamento climatico entro il 2030 potrebbero costringere fino a 118 milioni di persone a fare i conti con siccità, inondazioni e temperature sempre più estreme.
“La fame, alimentata dal cambiamento climatico, è la riprova delle profonde disuguaglianze che attraversano il pianeta. – continua Petrelli – I Paesi che hanno minori responsabilità per la crisi climatica e quasi nessuno strumento per affrontarla, ne pagano il prezzo più alto. Nell’indice globale che misura quanto i diversi paesi siano in grado di adattarsi al cambiamento climatico, quelli più colpiti sono agli ultimi posti. Paradossalmente, i leader delle nazioni più ricche, come quelle del G20 – che controllano l’80% dell’economia mondiale – continuano a difendere gli interessi delle aziende più ricche e inquinanti, spesso tra i primi sostenitori delle loro campagne politiche ed elettorali. Si stima che le aziende che producono energia dai combustibili fossili abbiano realizzato in media 2,8 miliardi di dollari al giorno di profitti negli ultimi 50 anni. È evidente quindi quanto sia urgente un cambio di paradigma per far fronte a questa immane crisi”.

L’appello ai leader mondiali.
“Facciamo appello ai leader mondiali, che parteciperanno all’Assemblea generale delle Nazioni Unite di questa settimana e alla COP 27 di novembre, perché mantengano le promesse fatte più volte sul taglio delle emissioni e sui finanziamenti per l’adattamento alla crisi climatica dei paesi poveri e più colpiti. – conclude Petrelli – È necessario inoltre stanziare immediatamente le risorse richieste dalle Nazioni Unite per fronteggiare l’emergenza. Farlo è un dovere etico, non è carità. È un’assunzione di responsabilità che riguarda il nostro comune futuro. È poi evidente, che non possiamo risolvere la crisi climatica senza correggere le disuguaglianze presenti nel sistema alimentare e in quello energetico. La strada da seguire è far pagare chi inquina di più: un’addizionale di appena l’1% sui profitti annui delle multinazionali che producono energia da combustibili fossili porterebbe circa 10 miliardi di dollari di entrate per gli stati, sufficienti a colmare gli ammanchi finanziari per far fronte all’aumento della fame globale”.

Note:
La FSIN (Food Security Information Network) ha iniziato a produrre i primi Rapporti globali sulle crisi alimentari nel 2017. Nel 2016, la popolazione classificata in IPC3+, ossia colpita da insicurezza alimentare, nei dieci paesi maggiormente interessati da eventi climatici estremi era di 21,3 milioni, mentre nel 2021 era di 47,5 milioni. L’aumento in percentuale è quindi del 123%.
I calcoli sul numero di persone che nei 10 paesi al mondo più colpiti dalla crisi climatica soffrono di insicurezza alimentare si basano sul numero totale di persone che nel 2021 si trovavano al livello uguale o superiore all’IPC4 di insicurezza alimentare secondo il GRFC 2022. Si veda la Classificazione IPC.
I dati relativi ai 10 paesi più colpiti dai cambiamenti climatici sono tratti dal rapporto di Oxfam “Footing the Bill”, pubblicato a maggio 2022.
I dati sull’aumento dei disastri climatici negli ultimi 50 anni sono tratti dall’analisi dell’Organizzazione meteorologica mondiale.
I dati sui livelli di emissioni nei 10 paesi più colpiti dalla crisi climatica sono tratti da Our World in Data.
La somma delle emissioni totali di carbonio dei paesi del G20 per il 2020 è di 1,299570755 miliardi di tonnellate di carbonio equivalenti al 76,60% delle emissioni globali di carbonio (1,696524177 miliardi di tonnellate). Fonte: Our World in Data.
Il grado di vulnerabilità alla crisi climatica dei 10 paesi più colpiti al mondo è del 34% secondo i calcoli dell’indice stilato dalla Notre Dame Global Adaptation Initiative (ND-GAIN). I dati per il 2022 sono consultabili sul sito web ND-GAIN.
Per calcolare il profitto medio giornaliero di 2,8 miliardi di dollari realizzato dall’industria dei combustibili fossili negli ultimi 50 anni – si è tenuto conto della media annua (per 5 decenni) di 1.022 trilioni di dollari. Dati riportati dal Guardian nell’articolo Revealed: oil sector’s ‘staggering’ $3bn-a-day profits for last 50 years. Usando tale media giornaliera, si calcola che sono necessari meno di 18 giorni per finanziare l’appello umanitario delle Nazioni Unite per il 2022 (48,82 miliardi di dollari). ll dato sul profitto medio annuo di 1 trilione di dollari è stato usato per calcolare il gettito di un’imposta aggiuntiva dell’1% sui profitti (10 miliardi di dollari) delle multinazionali che producono energia da fonti fossili. Fonte: The Guardian:Revealed: oil sector’s ‘staggering’ $3bn-a-day profits for last 50 years.
L’appello delle Nazioni Unite per la risposta alle crisi umanitarie nel 2022 è consultabile qui: https://fts.unocha.org/appeals/overview/2022. La parte relativa all’appello sulla sicurezza alimentare è di 15,9 miliardi di dollari, di cui 10,4 miliardi di dollari non sono ancora stati finanziati.