di Giovanni Caruselli –
La Società delle Nazioni, nata alla fine della Prima guerra mondiale per evitare altre tragedie belliche, fallì il suo compito nel 1939, soccombendo alla determinazione di Hitler di affermare l’egemonia tedesca in Europa e all’altrettanto decisa reazione delle nazioni che non si piegarono a questo progetto. Ci auguriamo che fra qualche decennio non si debba dire lo stesso dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, nata sulle macerie della Seconda guerra mondiale con un sistema decisionale certamente non perfetto ma entro certi limiti in grado di evitare scontri diretti fra Stati di grandi dimensioni. Nella situazione attuale in Medio Oriente nessuna delle cinque grandi potenze con diritto di veto rappresentate nel Consiglio di sicurezza è coinvolta direttamente nel conflitto di Gaza. Il Capitolo VII dello Statuto delle Nazioni Unite, spesso ignorato, prevede quello che nel gergo militare viene definito “peace enforcement”, cioè l’imposizione della pace con un adeguato intervento militare qualora i contendenti non riescano a far cessare o sospendere il conflitto. L’articolo venne introdotto per evitare che le popolazioni civili subissero le tragiche conseguenze della guerra riportando morti e feriti fra anziani, donne e bambini.
Secondo il rapporto dell’OCHA (Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari), pubblicato il 23 settembre, nella Striscia di Gaza sono stati uccisi più di 40mila palestinesi, e 95.500 feriti gravemente. Su una popolazione complessiva di due milioni e mezzo di abitanti, due milioni soffrono la fame e la sete, la mancanza di servizi igienici e di cure mediche, e sono costrette ripetutamente a spostarsi, dormendo e mangiando in campi profughi organizzati alla meglio dalle agenzie internazionali umanitarie. Non è abbastanza perchè il Consiglio di sicurezza costringa le parti almeno a un periodo di tregua che possa alleviare le sofferenze di migliaia di persone? Numerosi operatori umanitari sono rimasti uccisi e il diritto internazionale umanitario completamente ignorato.
Gli ostaggi nelle mani di Hamas hanno poche possibilità di rivedere le loro famiglie se non si procede, anche forzatamente, a porre le basi per un cessate-il-fuoco. I diplomatici egiziani impegnati in prima linea nelle trattative fanno sapere che la sfiducia reciproca fra le parti rende il dialogo veramente arduo. Israele si rifiuta di abbandonare la Striscia di Gaza e Hamas non intende sospendere le ostilità e restituire gli ostaggi fino a quando l’esercito di Gerusalemme resterà sul territorio.
Ma anche in Cisgiordania la situazione è drammatica. I coloni, che hanno illegalmente occupato varie aree della Galilea e della Samaria, hanno frammentato il territorio originariamente destinato ai palestinesi, ritenendo che si tratta di aree storicamente ebraiche, seppure in tempi molto remoti. La presenza al governo israeliano di ministri animati da un radicalismo religioso estremo costituisce l’aspetto più preoccupante di tutta la situazione, perchè la guerra ormai coinvolge la potente organizzazione militare Hezbollah in Libano. Secondo fonti ben informate essa dispone di 150mila fra missili e razzi di varia origine, ma soprattutto è finanziata e armata dall’Iran, il cui potenziale offensivo è tale da poter far pensare allo scoppio di un conflitto regionale dal quale solo una delle parti uscirebbe vincitrice. L’esercito israeliano ha ucciso centinaia di militanti di Hezbollah facendo uso di sofisticatissime tecniche di innesco a distanza di esplosivi contenuti nei cercapersone dei militanti stessi, ma anche alcuni civili hanno perso la vita a causa delle esplosioni. Così è guerra aperta anche fra Israele e Libano, dove sono già 500 le vittime dei bombardamenti. Ambedue i governi hanno invitato i propri concittadini ad allontanarsi dalle zone in cui si prevede che ci saranno esplosioni, se non anche scontri fra fanterie e carri armati. Sembra che l’inizio di un’invasione di terra del Libano meridionale sia imminente, a meno che le milizie Hezbollah non arretrino con le loro armi anticarro tanto da lasciare fuori tiro i tank israeliani. Se l’Assemblea generale dell’Onu non riuscirà a fermare un’escalation che fa paura ai suoi stessi protagonisti, la più influente organizzazione internazionale, alla quale non si possono negare ampi meriti in ambito umanitario, soprattutto grazie alle agenzie che ad essa fanno capo, subirà una perdita di prestigio di cui il panorama politico mondiale dovrà soffrire non poco.