Palestina. Abu Mazen sospende le trattative con gli israeliani

di Enrico Oliari

La decisione del governo israeliano di abbattere alcuni edifici nella parte meridionale di Gerusalemme, nella zona palestinese, ha portato il presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, a sospendere tutti gli accordi sottoscritti con Tel Aviv.
Abu Mazen, che ha tenuto una riunione urgente dei vertici dell’Anp, ha affermato che “Non ci piegheremo di fronte alle imposizioni israeliane e alla politica del fatto compiuto, E non ci piegheremo alla forza bruta, in modo particolare a Gerusalemme”. “Le nostre mani – ha insistito – restano tese come in passato, al fine di conseguire una pace giusta, generale e durevole”. “Ma ciò non significa che accettiamo lo status quo, che ci arrendiamo alle decisioni dell’occupazione. Non siamo disposti a convivere con l’occupazione né accetteremo l’Accordo del Secolo”.
In questi giorni il governo israeliano ha ridotto drasticamente i fondi destinati ai palestinesi, mentre in Cisgiordania sono stati avviati nuovi insediamenti, in contravvenzione alle risoluzioni Onu.
L’accordo a cui il presidente dell’Anp fa riferimento è quello redatto dal genero di Donald Trump, Jared Kushner, che prevede la nascita dello stato della Nuova Palestina, per il quale il presidente Usa intende incassare l’appoggio dei principali paesi arabi.
Al momento la conferenza avviata lo scorso 25 giungo non ha tuttavia prodotto risultati concreti: a grandi linee esso prevedrebbe una rosa di iniziative e di compromessi a cominciare dal nome dello Stato sovrano dei palestinesi, la “Nuova Palestina”, il cui territorio cisgiordano e di Gaza verrebbero collegati da un lungo ponte autostradale alto 30 metri e finanziato da diversi Paesi, soprattutto dalla Cina che lo costruirebbe e lo pagherebbe per il 50%. I confini con Israele verrebbero ad essere aperti.
Gerusalemme diverrebbe una “città condivisa”, fra i due Stati, capitale di entrambi e non separata in zona est e zona ovest; il comune di Gerusalemme amministrerebbe la cosa pubblica locale ad esclusione dell’istruzione, che sarebbe a carico della Nuova Palestina, e riscuoterebbe dai palestinesi lì residenti una “tassa per l’Aqua e dell’Arnuna” in sostituzione di quella che già pagano. La proposta riporta che “Sarà vietato agli ebrei di comprare case arabe ed agli arabi di acquistare case di ebrei; inoltre saranno aggiunti nuovi territori a Gerusalemme, mentre gli attuali luoghi santi rimarranno così come sono oggi”.
Gli insediamenti israeliani nei Territori occupati resterebbero ad Israele e sarebbero collegati da strisce delimitate, ma i palestinesi riceverebbero in donazione dall’Egitto un territorio utile per la costruzione di un aeroporto, di un centro commerciale e per la coltivazione di generi agroalimentari, per quanto verrebbe loro interdetta la residenza. Fino alla costruzioni di un aeroporto palestinese, previsto entro 5 anni dall’entrata in vigore dell’accordo, gli abitanti della Nuova Palestina si servirebbero liberamente degli scali israeliani.
La Nuova Palestina non avrebbe un proprio esercito e non potrebbe detenere armi pesanti, mentre le armi leggere sarebbero in dotazione solo alla polizia. Si tratterebbe di uno dei punti meno graditi alla parte palestinese, in compenso però sarebbe Israele a dover garantire la difesa del nuovo Stato, alla quale i palestinesi contribuirebbero economicamente con l’aiuto dei paesi arabi.
I detenuti palestinesi nelle carceri israeliane “verrebbero rilasciati ad un anno dall’entrata in vigore dell’accordo, entro un periodo di tre anni”.
Terminerebbe l’embargo a Gaza, ma contestualmente tutte le armi, anche quelle in dotazione ai leader di Hamas, dovrebbero essere consegnate (la sicurezza verrebbe garantita dalla polizia della “Nuova Palestina”); verrebbero riaperti i commerci internazionali da e per Gaza, attraverso Israele, l’Egitto o via mare attraverso la Cisgiordania.