Palestina. Al via la conferenza per il “piano del secolo” di Trump

Assenti i palestinesi, ma se non accettato metterà Usa ed Israele in una posizione di forza.

di Enrico Oliari –

Nasce azzoppata, ed in modo serio, la conferenza di pace sulla Palestina voluta da Donald Trump per presentare il “piano del secolo” scritto dal genero Jared Kushner.
Alla due-giorni in Bahrein, a Manama, hanno dato buca un po’ tutti, chi per un motivo e chi per l’altro, palestinesi e israeliani compresi, e neppure ha preso piede il primo gradino del piano di accordo costituito dal fondo da 50 miliardi di dollari a cui avrebbero dovuto mettere mano gli Usa per il 20%, l’Ue per il 10% e per il resto le monarchie del Golfo.
Per i palestinesi, che sostanzialmente si sarebbero costituiti nazione, il piano di Trump è “illusorio”: Abu Mazen, leader di al-Fatah, ha affermato che “è vero, abbiamo bisogno di denaro e di assistenza, ma prima di tutto abbiamo bisogno di una soluzione politica, e solo dopo potremmo dire al mondo di venire ad aiutarci e noi di essere pronti a ricevere l’aiuto”. Più diretto il ministro delle Finanze palestinese Shukri Bishara, per il quale “Non abbiamo bisogno di una riunione in Bahrein per costruire il nostro Paese, abbiamo bisogno di pace, e la sequenza prevista dal piano, ripresa economica seguita dalla pace, è irrealistica e illusoria”.
Intervistato per l’Huffpost il capo del governo di Hamas nella Striscia, Ismail Haniyeh, ha spiegato che “Il vero obiettivo di Manama è indicare la via per normalizzare i rapporti con l’entità sionista, con Israele. Ma questa è una via che la resistenza palestinese non imboccherà mai”, e che “Nessun dirigente palestinese, neanche quello più disponibile al compromesso, avrebbe potuto avallare una conferenza che ha come vero obiettivo la normalizzazione dei legami con Israele”.
Gli israeliani non sono stati invitati al forum per non creare tensioni lasciare mano libera agli Usa, ma il ministro Tzachi Hanegbi ha commentato la posizione dei palestinesi come “una tragedia”, denunciando la mancanza di “un po’ più di fiducia e positività”. “Il punto – ha spiegato – è che essi sono ancora convinti che la pace economica sia un complotto per piegarli con il denaro per progetti e altri beni, e così facendo dimenticano le loro aspirazioni nazionaliste. Naturalmente è solo paranoia, ma è un’altra tragedia per i palestinesi”.
Ed a priori il piano di Kushner è stato bocciato anche dai Paesi arabi vicini, con i quali Israele vorrebbe normalizzare le relazioni.
Ma il piano di Kushner è stato bocciato anche dai Paesi arabi vicini, con i quali Israele vorrebbe riallacciare relazioni normali. Per i partiti di sinistra egiziani si tratta di “legittimare l’occupazione israeliana della Palestina”, l’opinione pubblica araba parla di “perdita di tempo” e di “piano già morto in partenza”, ma per le cancellerie e le diplomazie bisogna almeno discuterne, anche perché poi gli Usa avrebbero costantemente occasione di rinfacciare l’opportunità data e respinta a priori.
Sui palestinesi piovo sempre soldi, tanti soldi, dati dalla comunità internazionale, dall’Unione Europea, da donatori privati e soprattutto dai paesi arabi, ma la gente continua a vivere, specie a Gaza, in condizioni difficili, segno evidente del dirottamento di almeno una parte dei fondi.
Il fallimento del “piano del secolo” del presidente Usa darebbe l’opportunità anche ai grandi donatori arabi di chiudere i rubinetti, e questo i leader palestinesi lo sanno, come pure sanno che accettare senza lottare significa perdere la faccia davanti al loro stesso popolo.
Presenti alla conferenza di Manama sono infatti gli alleati arabi degli Usa nel Golfo, a cominciare dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti, ma poi ancora vi è il Marocco, contro la cui presenza sono scesi in piazza a Rabat i manifestanti, la Giordania, l’Egitto, ed il Qatar. Forfait da Cina e Russia, presente l’Ue.
Il piano non è stato ancora presentato nella sua interezza, ma da settimane gira sui media seppure in una versione da prendere con le pinze: esso prevedrebbe una rosa di iniziative e di compromessi a cominciare dal nome dello Stato sovrano dei palestinesi, la “Nuova Palestina”, il cui territorio cisgiordano e di Gaza verrebbero collegati da un lungo ponte autostradale alto 30 metri e finanziato da diversi Paesi, soprattutto dalla Cina che lo costruirà e lo pagherà per il 50%. I confini con Israele verranno ad essere aperti.
Gerusalemme diverrà una “città condivisa”, fra i due Stati, capitale di entrambi e non separata in zona est e zona ovest; il comune di Gerusalemme amministrerà la cosa pubblica locale ad esclusione dell’istruzione, che sarà a carico della Nuova Palestina, e riscuoterà dai palestinesi lì residenti una “tassa per l’Aqua e dell’Arnuna” in sostituzione di quella che già pagano. La proposta riporterebbe che “Sarà vietato agli ebrei di comprare case arabe ed agli arabi di acquistare case di ebrei; inoltre saranno aggiunti nuovi territori a Gerusalemme, mentre gli attuali luoghi santi rimarranno così come sono oggi”.
Gli insediamenti israeliani nei Territori occupati resteranno ad Israele e saranno collegati da strisce delimitate, ma i palestinesi riceveranno in donazione dall’Egitto un territorio utile per la costruzione di un aeroporto, di un centro commerciale e per la coltivazione di generi agroalimentari, per quanto sarà loro interdetta la residenza. Fino alla costruzioni di un aeroporto palestinese, previsto entro 5 anni dall’entrata in vigore dell’accordo, gli abitanti della Nuova Palestina si serviranno liberamente degli scali israeliani.
La Nuova Palestina non avrà un proprio esercito e non potrà detenere armi pesanti, mentre le armi leggere saranno in dotazione solo alla polizia. Si tratterebbe di uno dei punti meno graditi alla parte palestinese, in compenso però sarà Israele a dover garantire la difesa del nuovo Stato, alla quale i palestinesi contribuiranno economicamente con l’aiuto dei paesi arabi.
I detenuti palestinesi nelle carceri israeliane “verrebbero rilasciati ad un anno dall’entrata in vigore dell’accordo, entro un periodo di tre anni”.
Terminerà l’embargo a Gaza, ma contestualmente tutte le armi, anche quelle in dotazione ai leader di Hamas, dovranno essere consegnate (la sicurezza verrà garantita dalla polizia della “Nuova Palestina”); verranno riaperti i commerci internazionali da e per Gaza, attraverso Israele, l’Egitto o via mare attraverso la Cisgiordania.

Jared Kushner.