Palestina davanti ad una svolta? Hamas non ci crede. Intervista a Kalil Abu Mosad

di Enrico Oliari, con la collaborazione di Saber Yakoubi –

Da qualche tempo si susseguono notizie di un possibile riconoscimento dello stato palestinese da parte dell’ONU. Il voto è previsto per il 20 settembre e di giorno in giorno diverse nazioni annunciano in anteprima quale sarà il proprio voto.
L’Europa si presenta divisa, Erdogan ha assicurato il voto favorevole della Turchia mentre poche ore fa il Canada si è espresso contrario adducendo la motivazione, come ha spiegato il premier Stephen Harper, che ”nessuna iniziativa unilaterale di questo tipo può aiutare a raggiungere una pace stabile in Medio Oriente”.
Dagli Stati Uniti arrivano invece notizie sempre più confuse e contraddittorie: fino a due giorni fa Obama aveva dichiarato l’intenzione di porre il veto al riconoscimento della Palestina (con le conseguenti perplessità da parte della Cina), mentre oggi si è detto disponibile al riconoscimento dello stato in base ai confini stabiliti nel 1967, cosa che però ha causato l’ira delle potenti lobbyes sioniste americane e quindi il sostegno di queste all’apparato repubblicano.
Ma come si vivono queste ore di attesa a Gaza? NotizieGeopolitiche ne parla via telefono con il militante di Hamas Kalil Abu Mosad, già intervistato per il nostro giornale, il quale, forse con i piedi più ancorati al terreno, racconta: “come vuole che si viva? Mentre ci stiamo parlando io mi trovo al buio, perché la Striscia di Gaza riceve la corrente in modo alternato ogni 12 ore, prima la parte settentrionale e poi quella meridionale”.
La situazione permane difficile, quindi…
“Guardi, qui non è cambiato nulla: i medicinali non ci sono, manca persino l’insulina, non si sa neppure cosa siano i chemioterapici. La disoccupazione è alle stelle e coinvolge decine di migliaia di giovani, i complessi industriali sono chiusi perché non arrivano le materie prime”.
Della difficile situazione di Gaza e del milione e mezzo dei suoi abitanti ne avevamo parlato in precedenza intervistando Adel Abu Rawwa, dell’Associazione benefica di solidarietà con il popolo palestinese. Tuttavia fa raggelare il sangue sentire di persona chi vive le sfide di ogni giorno dovute alla carenza di tutto. Come fa la gente a vivere?
“Vorrei fare un esempio: in casa mia siamo in quattro, io, mia madre e mio padre ed un signore che ha a sua volta cinque figli, di cui quattro all’università… si vive di quello che si trova, delle minime cose di ogni giorno e soprattutto grazie agli aiuti umanitari, che permettono al 70 per cento della popolazione di tirare avanti. In pratica viviamo di elemosina”.
Si parlava della Freedom Flottilla…
“Fino ad oggi nessuna nave è mai entrata nel porto di Gaza: Israele ferma qualsiasi mezzo destinato a noi, in un modo o nell’altro. Sappiamo che le navi sono ferme in Grecia e che Israele è riuscito a fare pressioni e a creare consenso politico attorno a questo blocco”.
Ma se Abu Mazen otterrà il riconoscimento, le cose miglioreranno radicalmente, le navi potranno entrare in porto…
“La gente di Gaza rifiuta la mossa di Abu Mazen, anche perché non ha la legittimità di rappresentarci. Si tratta in pratica di un teatrino, di una messa in scena per riattivare i trattati di pace. Di certo non ci fidiamo”.
Ma i trattati di pace non converrebbero anche ad Hamas?
“Vede, l’unico che avrebbe da guadagnarci da quei trattati è Israele, dal momento che, di compromesso in compromesso, arriverebbe a portarci via anche quel poco che ci è rimasto. Se tornano i trattati di pace, per noi è finita”.
Se però all’ONU dovesse essere riconosciuto uno stato con i confini stabiliti nel 1967?
“Noi siamo scettici, ci basterebbe che venisse tolto questo embargo ed arrivasse un minimo di sostentamento alla nostra gente”.
In caso di nascita dello stato palestinese, come vi porreste con il confinante Israele?
“La nostra lotta non si fermerebbe comunque, perché Israele si è preso la nostra terra e le nostre case”.
Ha un messaggio da lanciare all’Europa?
Più che un messaggio, una riflessione: se in Europa uno zoo dovesse rimanere anche per un attimo senza acqua o senza energia, immediatamente i responsabili verrebbero arrestati ed i giornali verrebbero inondati da fiumi di polemiche. Noi a Gaza siamo più di un milione e mezzo…”.