Palestina. Israele avanza in Cisgiordania: 22 nuovi insediamenti

di Giuseppe Gagliano

Il 29 maggio 2025 segna una data che rischia di incidere in modo irreversibile sul destino della Cisgiordania e su ogni residua ipotesi di soluzione politica del conflitto israelo-palestinese. In un annuncio congiunto, il ministro della Difesa Israel Katz e il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, due figure centrali della destra israeliana, hanno ufficializzato l’approvazione di 22 nuovi insediamenti ebraici nei Territori Palestinesi Occupati. Si tratta della più imponente espansione coloniale degli ultimi decenni, sia per estensione che per implicazioni politiche.
Secondo quanto riportato, 12 degli insediamenti saranno avamposti già esistenti ma finora illegali secondo la stessa legge israeliana, ora legalizzati retroattivamente. Gli altri 10 saranno completamente nuovi, tra cui Homesh, Monte Ebal e Beit Horon North. Il loro tracciato, disegnato strategicamente lungo direttrici chiave come la Route 443, punta a frammentare ulteriormente il territorio palestinese e a consolidare l’architettura di controllo militare israeliano sull’area.
Smotrich, leader dell’estrema destra religiosa e colono egli stesso, ha descritto la decisione come “una mossa che capita una volta in una generazione”, preannunciando il passo successivo: la piena sovranità israeliana sulla Cisgiordania, eufemismo per annessione unilaterale. Una pratica chiaramente vietata dal diritto internazionale, come ribadito nel parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia del 19 luglio 2024, che definisce il controllo israeliano sulla Cisgiordania “illegale” e impone l’evacuazione dei coloni.
Eppure la narrativa ufficiale israeliana rovescia il quadro: per Katz questi insediamenti sono una misura difensiva necessaria per impedire la nascita di uno Stato palestinese, ritenuto una minaccia esistenziale. Siamo, in sostanza, alla criminalizzazione preventiva dell’aspirazione nazionale palestinese, trasformata in atto ostile
La reazione palestinese è stata immediata: la presidenza dell’Autorità Nazionale Palestinese ha parlato di “pericolosa escalation” e “ciclo di instabilità”. Ma le condanne non sono mancate nemmeno da parte della comunità internazionale: il Regno Unito ha definito la decisione “un ostacolo deliberato alla statualità palestinese”, mentre la Giordania ha parlato di “flagrante violazione del diritto internazionale”. Tuttavia, le parole non bastano più. Il governo israeliano, forte del sostegno implicito di Washington e dell’impunità storica garantita dal veto USA all’ONU, ha capito che il tempo gioca a suo favore: ogni nuovo insediamento modifica i “fatti sul terreno”, rendendo la reversibilità sempre più teorica.
Oggi più di 700mila coloni israeliani vivono nei circa 160 insediamenti presenti in Cisgiordania e Gerusalemme Est, a fronte di una popolazione palestinese di oltre 3,3 milioni. Con i 22 nuovi insediamenti, questa architettura di dominazione si estende e si rafforza, rendendo sempre più utopistica la costruzione di uno Stato palestinese contiguo, sovrano e sostenibile.
L’approvazione include anche la legalizzazione di Homesh e Sa-Nur, due insediamenti evacuati nel 2005 nell’ambito del ritiro israeliano dalla Striscia di Gaza. La loro ricostituzione viene ora celebrata come “ritorno storico”, in un’operazione che trasforma le violazioni passate in precedenti giuridici. Si tratta di un paradosso giuridico-politico: l’avamposto illegale che, grazie al tempo e all’inerzia internazionale, diventa legalizzato e permanente. Un processo sistemico che ridisegna la mappa della Cisgiordania in senso univocamente coloniale.
Dietro ogni mossa del governo Netanyahu si cela un disegno coerente e volontario di annessione progressiva: non dichiarata ma praticata. Il ruolo di Smotrich, che controlla direttamente la pianificazione civile nei Territori Occupati, è centrale. In pratica, la gestione della Cisgiordania è stata trasferita al braccio più ideologico del governo, in violazione perfino delle regole dell’Accordo di Oslo. L’obiettivo non è solo espandere, ma rendere l’occupazione invisibile, normalizzata, istituzionalizzata.
In parallelo l’uso della retorica storica e religiosa, il “ritorno a Homesh”, la “generazione della sovranità”, ha lo scopo di legittimare moralmente ciò che è illegale giuridicamente e devastante politicamente. La colonizzazione non è più descritta come una misura di sicurezza, ma come un dovere storico e un diritto nazionale.