Palestina. Israele chiude il valico di Allenby

di Giuseppe Gagliano –

Israele ha chiuso il valico di Allenby, unico collegamento diretto tra la Cisgiordania e la Giordania. Una decisione presentata come misura di sicurezza, ma che in realtà colpisce al cuore la vita quotidiana dei palestinesi, tagliando il flusso di persone e merci. In un contesto in cui il commercio palestinese dipende quasi interamente da quel passaggio, il gesto assume il valore di un’arma geopolitica: non un semplice blocco temporaneo, ma il promemoria che la sovranità palestinese resta condizionata a decisioni prese altrove.
Mentre a New York decine di leader mondiali discutevano il riconoscimento della Palestina come Stato, l’esercito israeliano entrava più a fondo a Gaza City. Lì la guerra continua, con bombardamenti che mietono vittime civili e una crisi umanitaria devastante: fame diffusa, ospedali senza carburante, vite umane ridotte a variabile negoziale. Il paradosso è evidente: da una parte la diplomazia che celebra un passo simbolico, dall’altra la realtà di un conflitto che non conosce tregua.
Benjamin Netanyahu ha ribadito: «Non ci sarà alcuno Stato palestinese. Questo posto ci appartiene». Con il piano E1, che prevede l’espansione degli insediamenti intorno a Gerusalemme e la frammentazione della Cisgiordania in enclave isolate, Israele non solo dichiara la propria intenzione, ma la traduce in fatti. Il raddoppio della popolazione a Ma’ale Adumim, gli investimenti miliardari in infrastrutture coloniali, lo sradicamento delle comunità beduine palestinesi: tutto concorre a rendere impraticabile la soluzione dei due Stati.
Il riconoscimento della Palestina da parte di Francia e di altri Paesi rappresenta senza dubbio un passaggio politico importante. Philippe Sands lo ha definito una “svolta simbolica”. Ma proprio qui sta il nodo: simbolismo e realtà divergono. Senza l’approvazione del Consiglio di Sicurezza, dove gli Stati Uniti hanno il potere di veto, la Palestina non diventerà membro effettivo dell’ONU. E mentre i riconoscimenti si moltiplicano, i carri armati e gli F-16 continuano a ridisegnare la geografia di Gaza e Cisgiordania.
La vicenda mostra ancora una volta la geometria variabile del diritto internazionale. In Siria, le sanzioni del Caesar Act restano in piedi nonostante la caduta di Assad. A Gaza, invece, anche di fronte a rapporti ONU e denunce di relatori speciali, non scatta alcuna misura punitiva contro Israele. Diritti umani e diritto internazionale sono evocati in modo selettivo: strumenti da brandire contro i nemici, ma da accantonare quando a violarli è un alleato strategico.
La chiusura di Allenby, l’avanzata su Gaza, l’espansione degli insediamenti e i riconoscimenti diplomatici sono tasselli di un unico mosaico. Da un lato, la comunità internazionale che tenta di rilanciare l’idea di due Stati; dall’altro, Israele e Stati Uniti che continuano a sabotarla nei fatti. La lezione è amara: senza volontà politica reale, ogni passo simbolico resta confinato nei corridoi delle Nazioni Unite, mentre sul terreno la vita dei palestinesi si misura in check-point, bombardamenti e case demolite.