Palestina. La tragica e commossa fine dei gazawi

di Yari Lepre Marrani

Netanyahu è entrato a Gaza City con una potenza militare poderosa, coerente rispetto al piano di prosecuzione del massacro della Striscia di Gaza che sta perpetrando dai giorni post 7 ottobre 2023. L’Idf ha recentemente dichiarato che le forze israeliane hanno iniziato l’offensiva e la stanno portando avanti colpendo “dal cielo, dal mare, da terra” il che, tradotto in termini militari, significa che le forze impiegate e dispiegate sono state multiple: cari armati, droni, fanteria. L’esercito dell’Idf si sta concentrando ad al-Mawasi, una tendopoli sorta su un terreno un tempo agricolo. E’ qui che l’inferno dell’offensiva rasenta la brutalità più implacabile, con una densità di esseri umani riversati su poche decine di chilometri: gli esseri umani addensati ad al–Mawasi sfiorano il milione. È qui che l’esercito israeliano, da ieri con più violenza, sta spingendo un altro milione di palestinesi, da Gaza City. Il centro è occupato, la brutalità dei raid senza sosta, di notte e di giorno, e la paura dei gazawi si concentra sui robot-killer israeliani che stanno letteralmente svuotando Gaza come un formicaio infernale. “La violenza ha portato tanti ad arrendersi, ci dice Ali, un cittadino di Gaza ancora vivo, e a lasciare Gaza City. Il volume di fuoco sta terrorizzando tutti, non ha precedenti. Tremiamo di fronte ai robot, vecchi blindati C113 per il trasporto truppe imbottiti di esplosivo e manovrati da remoto… esplodono tra la gente”.
Il centro di Gaza City è già occupato, i palestinesi sfollati si aggirano, secondo fonti israeliane, attorno alle 500mila persone. Il cuore del mondo si sta dividendo tra l’est europeo (centro del conflitto russo-ucraino) e la Striscia di Gaza, divenuta terra di conquista e massacro a seguito della mossa finale e fatale del primo ministro israeliano, su cui pende un mandato di cattura della CPI. Nel recente rapporto ONU, si punta il dito contro il presidente Herzog, il primo ministro Netanyahu e l’ex ministro della Difesa Gallant, per Tel Aviv trattasi di conclusioni scandalose, di commissari antisemiti.
Ormai l’ipotesi di genocidio ha smesso di essere un’ipotesi, divenendo de facto una realtà. Lo dicono i fatti ma ancor più una Commissione ONU che espressamente accusa Israele di questo crimine atroce, il peggiore tra quelli elencati dalla Convenzione del 1948.
“Le autorità israeliane e le forze di sicurezza israeliane hanno commesso e continuano a commettere atti di genocidio contro i palestinesi nella Striscia di Gaza”: è quanto si legge nel rapporto pubblicato martedì dalla Commissione internazionale indipendente d’inchiesta sui territori palestinesi occupati, organo ufficiale dell’ONU istituito a seguito della crisi israelo-palestinese del 2021. L’accusa di genocidio, espressa da tante e tali personalità autorevoli da considerarsi un falso solo per coloro che speculano sulla morte dei palestinesi, è ora definitivamente confermata dalle Nazione Unite, non più solo da Amnesty International, che pure si è recentemente espressa a favore della definizione di genocidio sui fatti perpetrati da Netanyahu contro la Striscia. Per la Commissione internazionale indipendente ONU, l’accusa di genocidio, spiega, si poggia su “basi ragionevoli”, riferendosi all’analisi “esclusivamente alla determinazione del genocidio secondo la Convenzione sul genocidio in relazione alla responsabilità dello Stato di Israele sia per il mancato impedimento del genocidio, sia per aver commesso genocidio contro i palestinesi a Gaza dall’ottobre 2023”.
Secondo un’analisi di questo rapporto, si potrebbe ipotizzare una nuova definizione di genocidio ad esempio di quello attualmente perpetrato da Israele: non più solo il tentativo di causare la sparizione fisica e totale, nel senso più assoluto del termine, di una popolazione dalla faccia della terra, come avvenne tra il 1941 e il 1945 in Europa contro gli ebrei ad opera dei nazisti. Ora, il rapporto ONU “espande” gli estremi del genocidio inserendovi le seguenti caratteristiche precipue di quello di Gaza. Le parole delle Nazioni Unite sono limpide come una sorgente d’acqua, chiare come un’orazione di Cicerone, dense come le grida dei soldati in trincea: gli atti giudicati genocidari contro i palestinesi, si legge nel rapporto, sono i seguenti: uccisione di membri del gruppo; causare gravi danni fisici o mentali ai membri del gruppo; infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita calcolate per provocarne la distruzione fisica in tutto o in parte; e imporre misure intese a prevenire le nascite all’interno del gruppo. La prevenzione di nuove nascite è elemento essenziale per causare l’evolversi della distruzione di un popolo perché solo cagionando l’impedimento che un popolo si riproduca, lo Stato criminale si assicura la sparizione perpetua del popolo vittima.
Di fronte alla più grande carneficina del XXI secolo, sembrano perdersi nel vuoto di una malcelata indifferenza le parole di Kaja Kallas, rivestente la carica di Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza (Pesc) nella Commissione von der Leyen, la quale si limita alle solite dichiarazioni stantie affermando che “Domani l’UE adotterà misure per un chiaro segnale a Israele”.
“L’offensiva terrestre di Israele a Gaza peggiorerà ulteriormente una situazione già disperata”, dichiara Kallas. “Ciò comporterà più morti, più distruzione e più sfollati. Domani, la Commissione Ue presenterà misure volte a esercitare pressioni sul governo israeliano affinché cambi rotta riguardo alla guerra a Gaza. Sospendere le concessioni commerciali e imporre sanzioni ai ministri estremisti e ai coloni violenti segnalerebbe chiaramente che l’Ue esige la fine di questa situazione”.
Non potremmo aspettarci dichiarazioni più vaghe, simbolicamente indeterminate da un rappresentante per la politica estera di un continente che segue, a ruota, la politica tollerante e collaborazionista al massacro di gaza del presidente Usa Donald Trump, che a breve incontrerà sorridente Netanyahu, invitato nella sede americana del regno controverso del capo della Casa Bianca: “Trump mi ha invitato alla Casa Bianca. Avverrà tra due settimane, di lunedì, dopo il mio discorso all’assemblea generale dell’Onu. Ho avuto alcune conversazioni con lui dopo l’attacco a Doha, tutte molto positive”. Lo ha detto il primo ministro Benyamin Netanyahu durante una conferenza stampa al termine dell’incontro.
Trump si dimostra così il più grande amico che Netanyahu abbia in Terra; e, ad un tempo, il più grande sostenitore delle sue politiche belliciste che stanno cancellando e riducendo a individui subumani o non-individui, i gazawi.