Palestina. L’Onu condanna la demolizione delle case palestinesi da parte degli israeliani

di C. Alessandro Mauceri

Secondo Francesca Albanese, relatrice speciale ONU sulla situazione dei diritti umani nei Territori Palestinesi occupati, Balakrishnan Rajagopal, relatore speciale sul diritto a un alloggio adeguato, e Paula Gaviria Betancur, relatrice speciale sui diritti umani degli sfollati interni, le autorità israeliane potrebbero essere accusate di “domicidio”. Un neologismo per indicare un fenomeno che si ripete da anni, ma che negli ultimi mesi ha mostrato un netto peggioramento: la demolizione sistematica delle case dei palestinesi nella Cisgiordania occupata. Secondo gli osservatori delle Nazioni Unite “solo nel mese di gennaio 2023, secondo quanto riferito, le autorità israeliane hanno demolito 132 strutture palestinesi in 38 comunità nella Cisgiordania occupata, comprese 34 strutture residenziali e 15 finanziate da donatori. Questa cifra rappresenta un aumento del 135% rispetto allo stesso periodo del 2022 e include 5 demolizioni punitive”. “La comunità internazionale deve agire per fermare la demolizione e l’impermeabilizzazione sistematica e deliberata delle abitazioni, lo spostamento arbitrario e gli sgomberi forzati dei palestinesi nella Cisgiordania occupata”, hanno dichiarato i relatori delle Nazioni Unite.
Una prassi, quella della demolizione delle case dei palestinesi nei territori occupati (e non solo), che va avanti da molti anni. Nel 2019 le squadre di distruzione israeliane diedero vita ad una impennata delle demolizioni: in un quartiere di Gerusalemme Est furono rase al suolo decine di case palestinesi e gli abitanti vennero lasciati per strada. L’operazione era stata preceduta da una lunga battaglia legale: secondo gli israeliani gli edifici costruiti lungo una linea invisibile a cavallo tra la città e la Cisgiordania occupata erano “troppo vicini” alla barriera di separazione in Cisgiordania. I residenti palestinesi presentarono i permessi di costruzione alle autorità israeliane, ma questo non servì a nulla. Anzi, da allora la Corte suprema che ha approvato un numero sempre maggiore di demolizioni. Spesso squadre di demolitori israeliane agiscono durante la notte e riducono in macerie le case dei palestinesi.
L’anno successivo, nel 2020, vennero alla luce i numeri di queste demolizioni sistematiche delle case dei palestinesi nella Valle del Giordano. Secondo alcuni calcoli, sarebbero state oltre 55mila le case demolite. Solitamente queste demolizioni vengono classificate come “amministrative”, per far rispettare i codici e i regolamenti edilizi, che nei territori palestinesi occupati sono stabiliti dall’esercito israeliano. Raramente vengono presentate come parte di operazioni militari o punitive rivolte cioè a vicini e parenti di palestinesi sospettati di atti violenti contro gli israeliani. Un modo di fare che Amnesty International ha evidenziato ribadendo che le autorità israeliane hanno rifiutato di riconoscere le richieste di permessi di costruzione nelle aree arabe condannandolo come un mezzo per appropriarsi di parti di territorio. Nel 99% dei casi “in palese violazione del diritto internazionale”, dichiarò Linda Ramsden del Comitato israeliano contro le demolizioni di case nel Regno Unito.
Quella dei giorni scorsi per bocca dei delegati delle Nazioni Unite è solo l’ultima denuncia di questo inammissibile modo di operare. Gli esperti indipendenti dell’ONU hanno definito preoccupante la situazione a Masafer Yatta, “dove oltre 1.100 residenti palestinesi rimangono a rischio imminente di sgombero forzato, sfollamento arbitrario e demolizione delle loro case, mezzi di sussistenza, strutture idriche e igienico-sanitarie”. Spesso ad essere demoliti sono anche edifici costruiti grazie a finanziamenti pubblici internazionali: “A novembre 2022 le autorità israeliane hanno demolito una scuola finanziata da donatori a Isfey al-Fauqa. E altre quattro scuole della zona sono in fase di demolizione”, si legge nella relazione degli esperti. Secondo i relatori dell’ONU, questi “attacchi diretti alle case, alle scuole, ai mezzi di sussistenza e alle fonti d’acqua del popolo palestinese non sono altro che i tentativi di Israele di limitare il diritto dei palestinesi all’autodeterminazione e di minacciare la loro stessa esistenza”. “Le tattiche israeliane di sfollamento forzato e sgombero della popolazione palestinese sembrano non avere limiti. Nella Gerusalemme est occupata, anche decine di famiglie palestinesi affrontano rischi imminenti di sgomberi forzati e sfollamenti, a causa di regimi di pianificazione territoriale e urbanistica discriminatori che favoriscono l’espansione degli insediamenti israeliani, un atto illegale secondo il diritto internazionale e che costituisce un crimine di guerra”.
A preoccupare gli esperti anche l’intensificarsi di questi eventi: “L’approvazione da parte del governo israeliano e l’escalation della pratica di sgomberi e demolizioni punitive e altre misure punitive applicate ai presunti autori di attacchi “terroristici” e ai loro familiari, come la revoca dei documenti di identità, dei diritti di cittadinanza e residenza e della sicurezza sociale benefici”. “Lo stato di diritto deve prevalere in qualsiasi azione dello stato [israeliano] contro gli atti di violenza” hanno detto gli osservatori ONU. Spesso le autorità israeliane abbattono o pongono i sigilli alle case dei familiari di presunti autori di reato. Un modo di fare anche questo condannato dai relatori ONU “La demolizione delle loro case è una fondamentale mancanza di rispetto delle norme internazionali sui diritti umani e dello stato di diritto. Tali atti equivalgono a punizioni collettive che sono severamente vietate dal diritto internazionale. Ci rammarichiamo che prevalga l’impunità, in particolare per le violazioni dei diritti umani e i potenziali crimini di guerra commessi dalla potenza occupante”.
“È giunto il momento che gli organi giudiziari internazionali determinino la natura dell’occupazione israeliana e chiedano giustizia e responsabilità per tutti i crimini commessi nel territorio palestinese occupato” hanno detto gli osservatori delle Nazioni Unite. E che cessino, una volta per tutte, i “domicidi”.