Panama. Dalla luna di miele con la Cina alla rottura sulla Belt and Road Initiative

di Giuseppe Gagliano

La decisione di Panama di ritirarsi formalmente dalla Belt and Road Initiative (BRI) rappresenta una svolta nei rapporti bilaterali con la Cina, che negli ultimi anni erano stati caratterizzati da un’espansione significativa della cooperazione economica e infrastrutturale.
Fino al 2017 Panama riconosceva ufficialmente Taiwan come governo legittimo della Cina. Tuttavia, sotto la presidenza di Juan Carlos Varela, il Paese centroamericano compì un cambiamento strategico, stabilendo relazioni diplomatiche ufficiali con Pechino e aderendo rapidamente alla Belt and Road Initiative nel 2018. Questa mossa consentì a Panama di attrarre massicci investimenti cinesi, soprattutto nel settore logistico e delle infrastrutture, grazie alla posizione geopolitica strategica del Paese.
La Cina divenne rapidamente uno dei principali partner commerciali di Panama, con progetti di grande rilievo tra cui:

• Il porto di Colón, un hub logistico fondamentale per il commercio internazionale.
• La proposta (poi fallita) di una linea ferroviaria ad alta velocità tra Città di Panama e David.
• L’espansione della Zona Libera di Colón, con investimenti cinesi nel settore delle spedizioni e della logistica.

Nonostante questi sviluppi, la crescente influenza di Pechino nel Paese ha suscitato forti resistenze, sia a livello interno che internazionale.
Il ritiro di Panama dalla BRI avviene in un momento di rinnovata pressione da parte di Washington, che negli ultimi anni ha intensificato la propria opposizione all’espansione cinese in America Latina. L’Amministrazione Trump aveva già avvertito i governi regionali dei rischi legati alla dipendenza dagli investimenti cinesi, in particolare nei settori strategici come le infrastrutture portuali e il controllo del commercio marittimo.
Panama, che ospita il Canale di Panama, un nodo vitale per il commercio globale e per gli interessi statunitensi, è sempre stata considerata una priorità geopolitica per Washington. La sua adesione alla BRI nel 2018 fu vista come un segnale d’allarme dagli Stati Uniti, preoccupati dal crescente coinvolgimento cinese nelle operazioni portuali e logistiche lungo il canale.
Con l’elezione del nuovo presidente panamense José Raúl Mulino, noto per le sue posizioni filo-statunitensi, la decisione di abbandonare la BRI sembra essere un chiaro segnale di riallineamento con Washington. L’ambasciata panamense a Pechino ha notificato ufficialmente la decisione alla Cina con un preavviso di 90 giorni, ponendo fine alla partecipazione del Paese all’iniziativa infrastrutturale globale di Xi Jinping.
Il ritiro di Panama potrebbe incoraggiare altri Paesi latinoamericani a riconsiderare la loro partecipazione alla BRI, soprattutto in un contesto in cui gli Stati Uniti stanno rafforzando la loro presenza economica e diplomatica nella regione. Tuttavia la Cina mantiene una forte presenza in Brasile, Argentina, Cile e Perù, quindi il suo ruolo nella regione non verrà ridimensionato nel breve termine.
Il Canale di Panama rimane un’infrastruttura di interesse strategico per gli Stati Uniti, non solo per il commercio ma anche per il transito militare. L’allontanamento dalla BRI riduce il rischio che Pechino ottenga un’influenza diretta sulla gestione di questo passaggio chiave.
Il ritiro dalla BRI potrebbe avere un impatto sugli investimenti cinesi nel Paese. Pechino ha dimostrato in passato di reagire duramente quando i suoi partner rivedono accordi strategici: basti pensare alle tensioni con l’Australia dopo la cancellazione di alcuni progetti legati alla Belt and Road. Panama potrebbe trovarsi a dover gestire un calo di investimenti e una ridefinizione dei rapporti commerciali con Pechino.
Con il disimpegno dalla BRI, Panama potrebbe ricevere nuovi incentivi dagli Stati Uniti per compensare la perdita di investimenti cinesi. Washington potrebbe offrire finanziamenti alternativi attraverso iniziative come il Partnership for Global Infrastructure and Investment (PGII), il programma lanciato dal G7 per contrastare la Belt and Road cinese.