Perché “sì” agli F-35. Intervista al gen. Vincenzo Camporini, già capo di S.m. della Difesa

di Gaetano de Pinto –

camporini 3 grandeIn questi ultimi mesi l’operazione “spending review”, messa in campo dalla classe politica, ha colpito tra i vari settori anche quello della Difesa ed in particolare il programma Joint Strike Fighter (programma di sviluppo dei cacciabombardieri F-35 ndr.), tanto da spingere il neo-ministro della difesa Roberta Pinotti a dubitare della reale necessità di tenere in piedi addirittura una moderna Aeronautica militare. Notizie Geopolitiche ne ha parlato con il generale Vincenzo Camporini, già Capo di Stato maggiore dell’Aeronautica nonché della Difesa.

– Generale Camporini, nella Sua carriera tra le tante cariche, ha ricoperto quella di Capo di Stato Maggiore della Difesa e prima ancora dell’Aeronautica militare: è quindi conoscitore delle reali necessità di un servizio, la Difesa, che per essere garantito necessita di appropriatati fondi. Oggi non solo parte del mondo politico, ma anche delle istituzioni come lo stesso ministro della Difesa parlano di ridimensionamenti della spesa e di tagli consistenti: reputa che, anche in un contesto di Difesa ampio, sia europeo che di Alleanza Atlantica, la cosa sia possibile oppure una boutade ascrivibile alla convenienza politica, ma di fatto una via non perseguibile?

Le provocazioni dei politici di questi ultimi giorni, sono e restano tali. Tutti noi dobbiamo avere l’accortezza di non pensare che sia possibile smantellare i pilastri della nostra Difesa, sarebbe come chiedersi se sia necessaria l’acqua per la sopravvivenza dell’uomo. In particolare, quella del Ministro Pinotti sullo smantellamento dell’Aeronautica sembra una domanda retorica che sottintende la volontà di procedere ad un esame sistematico della situazione strategica del Paese e della sua necessità in ambito internazionale da cui derivare la struttura dello strumento militare“.

– Crede quindi sia stata una polemica funzionale alla vicina campagna elettorale?

Credo che nessuna persona di buon senso pensi che si possa fare a meno dell’Aeronautica o dell’Esercito o della Marina. E’ anche vero che, come sottolinea qualcuno, il Costarica, per esempio, non ha l’aeronautica… ma noi siamo l’Italia. E lo siamo non solo in un quadro di Alleanza Atlantica, ma soprattutto di un’Europa che, seppur a flebili vagiti per quanto concerne la politica comune di Difesa, ci vede e ci vedrà attori protagonisti di questa istituzione“.

– Auspica quindi una maggiore integrazione dei Paesi Europei in ambito militare?

Il mio auspicio è una federazione di Stati o per lo meno una maggiore integrazione, perchè da soli non contano nulla, come dimostrato dall’ultima crisi in Ucraina. La battuta sentita al telefono dalla rappresentante statunitense e le risate di Putin sulla reazione europea, di certo non son colpa dei due signori, ma semplicemente è nostra, di noi, che non riusciamo ad avere una dimensione politica ed istituzionale tale da presentarci come un attore credibile nelle dispute internazionali“.

– Quindi crede che sia più corretto discutere, non di tagli al settore Difesa di ogni singolo Stato, ma di un processo che porti alla creazione di un’unica Difesa europea?

“​Da federalista convinto, credo che l’obiettivo sia proprio quello di giungere a Forze Armate comuni. Oggettivamente oggi è una via impraticabile, a causa di particolarismi che resistono e resisteranno a lungo, ma è palese che se ogni singolo Stato vuole spendere meno per le proprie Forze armate, dovrà procedere ad una progressiva unificazione del comparto Difesa. La strada ormai è tracciata, più che dalla volontà politica, dallo stato delle cose“.

– Quando si parla di tagli alla Difesa e agli armamenti, all’opinione pubblica vengono subito in mente gli F35. Non crede sia un programma troppo esoso per il nostro bilancio?

“​Gli investimenti delle Forze Armate riguardano appunto tutte le Forze Armate e non solo l’Aviazione. Ci sono una serie di programmi che hanno un costo superiore proprio a quello degli F-35“.

– Parla del “Soldato futuro”?

Esattamente. Tutti i programmi militari hanno una pianificazione finanziaria di lungo periodo e quindi spalmati su decine di anni. Quando si parla di 13 miliardi, ovviamente, la cifra può spaventare, ma se la stessa cifra è dilazionata in 10 anni, lo spavento diventa minore. Così, quando si parla di dirottare tali ingenti risorse sulla creazione di posti di lavoro: non esiste un cassetto con 13 miliardi da utilizzare altrimenti: al massimo ci potranno essere i denari stanziati per l’anno in corso. E questo vale anche per il progetto “Soldato futuro”, o per i nuovi pattugliatori della Marina militare approvati nell’ambito dell’ultima legge di stabilità“.

– Ma in un periodo di crisi economica, in cui lo Stato fatica a soddisfare i bisogni primari dei cittadini, ritiene che l’acquisto di 90 cacciabombardieri siano comunque una necessità per il nostro Paese?

“​Il sistema militare deve avere un suo equilibrio. L’ F-35 va a sostituire 3 linee di combattimento, i Tornado, gli Amx e gli AV8-B della Marina. Per quanto concerne i numeri, bisogna risalire alle acquisizioni iniziali, e nel caso dei 3 velivoli sostituiti siamo nell’ordine di 250 esemplari. Ovviamente si parla di altre epoche storiche, in cui c’era la guerra fredda, ma di fatto sostituiamo 250 cacciabombardieri con 90. Una riduzione che è dovuta sia ad un cambiamento delle condizioni strategiche sia al fatto che le capacità offerte dalle nuove macchine sono tali per cui con il nuovo velivolo si riesce a fare il lavoro di due di quelli ora in linea. Quindi la nuova generazione di aerei rende possibile una diminuzione dei numeri, prestando ovviamente attenzione a non scendere sotto una massa critica e il che renderebbe inutili gli stessi F-35“.

– C’è già stata una riduzione quindi rispetto al progetto iniziale?

​”Si è passati da 131 ipotizzati inizialmente a 90, come deciso dall’ex Ministro Di Paola. Ragionamenti analoghi sono stati fatti in molti altri Paesi, anche se è notizia di qualche giorno fa che l’Australia sta per approvare un’ulteriore acquisizione di 58 aerei per un totale di 72 macchine, la Corea del Sud ha scelto l’ F-35 come velivolo di nuova generazione e quindi si parla di un programma di sviluppo che va al di là di quello che oggi conosciamo“.

– Noi siamo un Paese che ripudia la guerra come da dettato costituzionale. Quale quindi la necessità di investire continuamente in questo comparto?

​”Le Forze Armate sono da considerarsi come un’assicurazione. Io sottoscrivo l’RCA, non per andare a sbattere contro qualcuno, ma per una mia tutela personale. Si può decidere di avere Forze Armate passive o attive, nel senso che alimentano o meno la macchina industriale del Paese. Io credo che la seconda opzione sia quella che nel medio-lungo termine, non solo minimizzi i costi per la collettività nel suo complesso, ma rappresenti un notevole motore dal punto di vista tecnologico. Le nostre industrie operano su determinati progetti perchè hanno operato nel settore della Difesa. A tal proposito vorrei citare un fatto di cui pochi sono a conoscenza: il 50% della stazione spaziale internazionale è costruita in Italia, proprio perchè ci sono le competenze acquisite nel tempo, grazie proprio a programmi militari“.

– L’Italia ha finanziato con qualche centinaio di milioni la costruzione della FACO (Final Assembly and Check Out), presso la base Cameri (Novara) che si occuperà di assemblare componentistica costruita all’estero. Inoltre al progetto JSF partecipano aziende italiane come Selex, Alenia, Aerca, Secondo Mona e Sirio Panel. Potremmo quindi considerare anche l’acquisto degli F35 come un investimento economico strategico del nostro Paese?

“​Essere all’interno del programma dal punto di vista industriale diventa un’opportunità straordinaria non solo per le grandi aziende come quelle della galassia Finmeccanica, ma anche per le piccole e medie imprese che lavorano nel settore dell’aerospazio che ad oggi stanno avendo già moltissimi contratti dall’America“.

– Parlare quindi di F-35 non come un semplice costo, ma come un programma che avrà ripercussioni economiche ed occupazionali, potrebbe generare meno scalpore nell’opinione pubblica?

“​Certamente sì. E a tal proposito, sarebbe bello sentire i pareri non solo delle grandi industrie, bensì proprio delle piccole e medie imprese che avranno benefici e che quindi creeranno nuovi posti di lavoro“.

– Voci di palazzo danno come imminente la decisione di un ulteriore taglio al programma JSF o ad un suo rinvio. Nostre fonti però ci hanno informato dell’approdo della portaerei Cavour nel porto di Taranto dove saranno approntati quei lavori che la renderanno idonea ad ospitare i caccia F-35. Ancora una boutade propagandistica?

​Il programma F-35 è un programma immenso che coinvolge non soltanto l’aspetto operativo ma anche tutta la logistica. Quindi se si vuol essere pronti, alcune attività devono essere svolte per tempo“.

– Potremmo dire che il programma non sta subendo una battuta d’arresto, ma si sta procedendo nei tempi concordati?

“​Certamente. Si sta rispettando il programma secondo la contrattualistica approvata dal Parlamento, in attesa che venga pubblicato il libro bianco che il ministro sta predisponendo, dove si definiranno i numeri, non solo degli F-35, ma delle navi, delle brigate, di che tipo di armamento deve avere ogni singola brigata ecc. Da questo punto di vista alcune attività previste dai precedenti contratti devono essere portate avanti“.

– Esiste una terza via tra l’acquisto degli F-35 e l’abbandono in toto del progetto Joint Strike Fighter? Per esempio, non sarebbe il caso di valutare l’opzione Eurofighter, che tra le tante è costruito interamente in Europa, Italia compresa?

“​Mi considero uno dei padri dell’Eurofighter, al cui progetto ho lavorato dal 1985. Il mio ultimo volo da ufficiale è stato proprio su un Eurofighter ed è stata un’esperienza straordinaria. E’ una bellissima macchina da difesa aerea e quindi non è un cacciabombardiere, lo possiamo modificare, ma evidentemente questa sarebbe una soluzione di compromesso. L’ F-35 nasce invece come cacciabombardiere. Riportando una battuta che ho fatto in Commissione Difesa per una simile domanda, posso dire che se ho bisogno di un camion non compro un autobus. Chiaramente su un autobus potrei trasportare merci come su un camion persone, ma stravolgerei il loro utilizzo. Lo stesso identico discorso, dal punto di vista operativo, vale per gli Eurofighter e gli F-35.
Dal punto di vista industriale, mi piacerebbe specificare qualche numero. Del programma Eurofighter abbiamo il 21% delle quote, cioè fino ad oggi l’Italia ha pagato il 21% delle spese di investimento, ottenendo il 21% del lavoro, comperando il 21% dei velivoli. Se noi ne comperassimo una tranche aggiuntiva, senza che i nostri partners ne comprassero delle altre, accadrebbe che noi spendiamo 100, ma il lavoro in Italia resta sempre 21, dando lavoro per 79 agli operai tedeschi, francesi e spagnoli. Questo in un’ottica europea potrebbe non fare scandalo, ma è evidente che i benefici economici per il nostro Paese sarebbero assai ridotti“.

– Il programma f-35, segue invece altre regole?

“​L’azienda costruttrice americana, per l’acquisizione della componentistica si rivolge al mercato mondiale, senza limitazioni di quote. Ad oggi le nostre aziende, hanno siglato contratti per circa 700 milioni di euro, cioè il 30 per cento sui circa 2 miliardi investiti finora dall’Italia, con la prospettiva concreta che la quota cresca ulteriormente: abbiamo contratti per la produzione delle ali, per le fusioni al titanio della struttura, aziende che costruiscono i sistemi di aggancio dell’armamento all’interno dell’aeroplano. I risultai economici si vedono e sviluppano anche la competitività delle nostre aziende“.

– Terminata la fase di costruzione però finirà anche questo benefit economico sulle nostre aziende?

​Noi abbiamo avuto la lungimiranza di pretendere dagli USA che fosse costruita in Italia la fabbrica per l’assemblaggio finale delle macchine ed è l’unica in Europa. Ad oggi ci sono già delle intese per cui è prevedibile che i velivoli olandesi saranno assemblati in Italia, con la prospettiva che altri Paesi europei si rivolgano a noi per queste attività. Non solo, ma la manutenzione di queste macchine, che rimarranno in servizio non meno di 40 anni, presumibilmente avverrà in Italia, essendo l’unica “stazione di servizio” presente nel Vecchio continente. Immaginate quindi l’indotto per queste attività per decenni. Io credo che di fronte a queste opportunità sarebbe miope cercare di fare altre considerazioni“.

– Ritornando al Libro bianco proposto dal ministro della Difesa, crede che una sua stesura dovrebbe essere affidata ad un militare?

​Il famoso Libro bianco voluto dal ministro Pinotti, se scritto da un militare non sarebbe accettabile, perchè purtroppo siamo esseri umani e ciascuno tira l’acqua al suo mulino. Ad oggi ci sono forti steccati tra le Forze Armate tali che se questo gruppo di lavoro fosse capeggiato da un generale dell’Aeronautica o da un ammiraglio, avremmo una sorta di tiro alla fune. Io ho fiducia nel mondo politico. Ci sono politici, e non parlo solo di parlamentari, che hanno una preparazione in materia e che sono in grado di sviluppare un discorso strategico. Il coinvolgimento del ministero degli Esteri, per esempio, sarebbe fondamentale perchè se parlo della postura strategica del Paese lo devo fare in un quadro di relazioni internazionali ben definito. Chi meglio di un illuminato ambasciatore può fornire questa visione? Dovrà essere composito, con certamente un ruolo per i militari che dovranno fornire i dati tecnici, ma ci deve essere anche una visione a lungo termine che deve arrivare da un ambiente in qualche modo estraneo ai tecnicismi ed ai campanilismi di oggi“.

– Un’ultima domanda. Per il ruolo che ha ricoperto e la conoscenza della materia che deriva dalla Sua esperienza e dalla Sua preparazione, se richiesto si renderebbe disponibile a rappresentare l’anello di congiunzione tra le esigenze di spesa dell’apparato militare e le ristrettezze imposte dalla scelta politica e quindi a guidare un team per la stesura del Libro bianco?

Da quando ho lasciato il servizio, ormai da tre anni, mi sono occupato di politica internazionale con visione strategica e credo di essere riuscito in qualche modo a spogliarmi del vecchio. Ma la divisa io la indosso sempre, sono sempre un militare e le stellette le ho sempre attaccate. Quindi sarei abbastanza restio a presentarmi come colui che costituisce l’elemento di congiunzione. Sono disponibile a fornire i miei pareri, ma senza ricoprire un ruolo di protagonista“.