Perù 2021: festa del bicentenario ed elezioni per ripartire

di Paolo Menchi –

Il 28 luglio prossimo il Perù concluderà solennemente le celebrazioni del bicentenario dell’indipendenza iniziate circa due anni fa.
Recentemente il paese andino è balzato agli onori della cronaca di tutto il mondo per gli scontri politici che hanno causato morti e feriti e perché è uno dei paesi americani più colpiti dal Covid.
Con queste premesse sembra ci sia poco da celebrare, ma un’analisi più approfondita può far ben sperare e considerare l’anno del bicentenario dell’indipendenza come punto di ripartenza per un paese che ha già fatto molti passi avanti nella lotta alla povertà e alle disuguaglianze e che non deve fermarsi perché ha tutti i mezzi per andare avanti.
Innanzitutto i peruviani hanno l’occasione di esprimersi nelle elezioni generali del prossimo 11 aprile per dare una scossa al loro paese, anche se che quello che è successo negli ultimi anni a livello politico potrebbe rendere pessimisti.
Riassumendo, dopo il terribile decennio con alla guida Fujimori (1990-2000), conclusosi con diverse condanne per corruzione e per violazione dei diritti umani e con una situazione economica disastrosa, si sono succeduti Presidenti che sono stati coinvolti in scandali legati alla corruzione, a volte con sentenze emanate molto tempo dopo il termine del mandato presidenziale.
È il caso del primo presidente eletto dopo la caduta di Fujimori, Alejandro Toledo (2001-2006) per cui è stato emesso nel 2017 un mandato di cattura e che è ancora in Usa in attesa di estradizione, per non parlare di Alan Garcia (1985-1990 e poi 2006-2011) che si è suicidato nel 2019 mentre stava per essere arrestato in relazione ad uno scandalo.
Ollanta Humala (2011-2016) è attualmente in custodia cautelare (dal 2017) sempre per accuse di corruzione.
È andata peggio al suo successore Pedro Pablo Kuczynski (2016-2018) che non è riuscito a terminare il mandato ed è stato costretto alle dimissioni (attualmente è agli arresti domiciliari), sostituito dal vicepresidente Martin Vizcarra dal marzo 2018.
E qui arriviamo alla cronaca recente, con il Presidente Vizcarra che, appena nominato, ha promosso un referendum per introdurre alcune norme volte a contrastare la corruzione dilagante. Tali norme, approvate dagli elettori a larga maggioranza, non sono mai state ratificate dal Parlamento, con forte presenza di fujimoristi, anche perché avrebbero scoperchiato molti altri casi di corruzione tra i deputati.
Vizcarra non ebbe altra soluzione se non quella di sciogliere il Parlamento e indire nuove elezioni per il gennaio 2020, lasciando molti deputati con il dente avvelenato, tanto che lo scorso novembre riuscirono a destituire il Presidente, accusato senza prove evidenti, di aver ostacolato un’inchiesta nei suoi confronti, ed eleggendo al suo posto Manuel Merino.
Ma Vizcarra aveva il consenso del 78% dei peruviani che hanno visto la nomina di Merino come un colpo di stato e sono scesi in piazza scatenando una pesante reazione della polizia, culminata con alcuni morti e molti feriti.
Ma la spinta è stata talmente forte che il Parlamento è stato costretto a richiedere le dimissioni di Merino e a nominare Presidente ad interim il centrista Francisco Sagasti, in attesa delle elezioni del prossimo 11 aprile
La cronistoria certamente mette in evidenza un altissimo livello di corruzione, purtroppo
endemico per questioni storiche e culturali nei paesi latino-americani. Ma se guardiamo il lato positivo dobbiamo sottolineare che in Perù le inchieste sono sempre andate fino in fondo, coinvolgendo le persone più importanti del paese, questo significa che la cosiddetta società civile è ancora viva e lotta per cambiare le cose. In molti altri paesi la corruzione è accettata passivamente senza che nessuno paghi, probabilmente la forza del Perù sta nel voler cambiare una situazione che vanifica ogni sforzo produttivo e che ha portato anche a notevoli problemi ambientali.
Secondo la Banca Mondiale, il Perù chiuderà il 2020 con una contrazione del Pil del 12% ma non dimentichiamo che è un dato fortemente influenzato dal problema della pandemia ( e non è nemmeno tra i peggiori) e che il 2019 si era chiuso con un leggero aumento del pil (2,16%) in crescita costante da 21 anni e con tassi di inflazione dell’ 1,9% e di disoccupazione del 6,6% (influenzato negativamente da una gran quantità di lavoro non regolare).
Tutto sommato sono dati economici più che accettabili per un paese ritenuto arretrato.
Negli ultimi anni sono stati fatti passi avanti anche nella lotta alla povertà con riduzione del numero dei poveri che è passato dal 50% del 2000 al 21,7% del 2017.
Ci sono quindi le basi per ripartire a livello economico, grazie anche al sostegno del governo che, per far fronte ai problemi del Covid ha stanziato 36 miliardi di dollari, l’equivalente del 18% del PIL nazionale. Le risorse sono state concentrate sulla spesa pubblica, sugli sgravi fiscali e sulla liquidità per il sistema bancario.
È comunque fondamentale favorire la ripartenza del settore turistico, già molto importante, ma con ancora grosse potenzialità di espansione.
Secondo i dati del World Travel and Tourism Council (Wttc) il Perù è il paese dell’America latina dove il maggior contributo economico deriva dal turismo, in costante aumento negli ultimi anni.
Il turismo, grazie anche a diversi tour operators stranieri operanti in loco, è già molto ben organizzato, ma con una buona politica di investimenti e pianificazione potrebbe espandersi ancora coprendo zone al momento poco sfruttate, allargando gli orizzonti oltre i 3-4 siti più conosciuti.
Ed è anche grazie allo sviluppo del turismo che le popolazioni più povere delle campagne, spesso andine di lingua quechua , probabilmente le più emarginate del Paese, potrebbero migliorare la loro condizione economica senza dover emigrare nella città più grandi e andare a vivere nei miseri quartieri periferici in condizioni estremamente precarie, in particolare nella capitale, che ormai raggiunge quasi 10 milioni di abitanti (quasi un terzo della popolazione totale del Paese).
L’età media dei peruviani è di soli 27 anni (la nostra è di quasi 45 anni) e questo è altro punto di forza che si è evidenziato anche nelle manifestazioni che hanno bloccato quello che la maggioranza riteneva un colpo di stato, mostrando vitalità e interesse per il bene comune.
L’impressione che si ricava visitando le città peruviane è quella di una popolazione umile, con grande attenzione verso il turista, ma nello stesso tempo orgogliosa.
Difficilmente si vede gente chiedere l’elemosina, piuttosto si vedono persone che si ingegnano per guadagnare qualcosa vendendo ad ogni angolo di strada le cose più disparate da caffè, spremute o zuppe preparati in casa, a uova di quaglia già lessate fino ai più tradizionali braccialetti fatti a mano.
In conclusione, la fotografia attuale del Perù è piuttosto sbiadita ma il valido capitale umano e le notevoli risorse naturali e turistiche, se utilizzate in modo corretto, potrebbero far ripartire il Paese verso uno sviluppo ancora più sostenuto di quanto avvenuto negli ultimi vent’anni.
Per arrivare a questo è necessaria una seria programmazione che a sua volta ha bisogno che la corruzione sia stroncata sul nascere.
Adesso non basta più condannare i colpevoli bisogna far in modo che i problemi del passato diventino una sorta di vaccino per evitare di ricadere negli stessi errori.