Perù. L’arresto di Castillo provoca sommosse ma anche amarezza

La Farnesina segue il caso delle italiane bloccate dalle proteste.

di Paolo Menchi –

La destituzione e l’arresto del presidente Pedro Castillo, a seguito del suo tentativo di sciogliere il Parlamento, che stava per decidere se esonerarlo dall’incarico, dopo le pesanti accuse rivoltegli dalla magistratura in merito ad una presunta rete di corruzione da lui costruita, sta provocando in Perù reazioni contrastanti.
I fatti più evidenti sono le numerose manifestazioni di piazza che contestano sia il Parlamento, che l’elezione a prima carica dello stato della vicepresidente Dina Boluarte.
La maggior parte dei manifestanti chiede elezioni immediate, ma non mancano coloro che vogliono il ritorno di Castillo, che nel frattempo ha chiesto asilo politico al Messico.
Il governo è arrivato al punto di dichiarare lo stato di emergenza perché le proteste hanno portato alla morte di almeno sei persone, al blocco di alcuni aeroporti (addirittura in quello di Arequipa duemila manifestanti hanno invaso la pista) e di numerose importanti strade fondamentali per la circolazione.
La presidente ha cercato di mediare, proponendo le elezioni per l’aprile del 2024, oltre due anni prima della scadenza del mandato ereditato dal presidente uscente, ma sia lo stesso Castillo che i manifestanti non hanno accettato la proposta.
Il caso “Castillo” ha lasciato delle conseguenze meno visibili, ma forse più profonde, creando una forte amarezza e un’ulteriore perdita di fiducia tra gli strati più bassi della popolazione.
Castillo proviene da Cajamarca, una delle zone più povere del Perù, dove circa il 60% della popolazione svolge lavori rurali, ma anche dove il 90% vive di lavori non ufficiali e quindi senza accesso nemmeno all’assistenza sanitaria, e l’elezione di colui che, nato e cresciuto in questa zona, aveva iniziato facendo prima il maestro e poi il sindacalista, non aveva portato solo speranze di migliorare la condizione economica ma aveva anche reso la popolazione locale orgogliosa che il primo presidente “povero” provenisse da Cajamarca.
Premesso che Castillo deve essere ancora giudicato da un tribunale (ma le accuse sembrano provenire da più parti), la sua destituzione ha provocato non solo tra i suoi conterranei ma anche tra i poveri di tutto il paese, soprattutto tra chi credeva ai suoi proclami del tipo “Mai più poveri in un paese ricco”, un misto di vergogna e disillusione totale, solo una minoranza grida al complotto come fa lo stesso ex presidente.
Sono decenni ormai che i peruviani, che hanno cambiato sei presidenti in quattro anni per essere stati coinvolti in vari scandali, hanno perso fiducia nel sistema politico ed ora, se anche il paladino dei poveri che millantava forte rigore morale verrà condannato non vediamo come si possa ricostruire la fiducia, tutto questo mentre la crisi economica si fa sempre più pesante.

Con una nota la Farnesina ha reso noto che l’ambasciata italiana a Lima “segue la vicenda delle connazionali rimaste bloccate nei pressi di Checaupe (Perù) mentre si trovavano a bordo di un autobus. Il mezzo su cui le connazionali viaggiavano è al momento fermo a causa delle proteste in corso nel Paese. L’Ambasciata è in contatto con le connazionali e i loro familiari e con la polizia locale.
L’Unità di Crisi della Farnesina, che monitora costantemente la situazione nel Paese, raccomanda la massima cautela ai connazionali presenti in Perù, invitandoli a consultare sempre il sito www.viaggiaresicuri.it e a scaricare l’APP gratuita dell’Unità di Crisi, registrando il proprio viaggio, con geolocalizzazione, per ogni ulteriore aggiornamento.