Perù. Le studentesse di Lima, ‘Avanti con i contadini in lotta’

Testimonianze dalla facoltà occupata di antropologia.

Agenzia Dire

“I nostri fratelli da Juliaca, Puno, Ayacucho, Cusco, Huancayo arrivano e Lima e si sistemano nei locali della nostra università, dove sono garantiti loro viveri, sicurezza e accoglienza. Ieri, insieme, siamo andati a piazza San Martìn: stiamo unendo le forze in questa mobilitazione pacifica contro la repressione del governo e l’abbandono in cui versano le province del Perù lontane dalla capitale”. A parlare con l’agenzia Dire sono Fabiana Lucía Cßceres Cortez e Maria Karin Moreno Prieto, del Consiglio direttivo del Centro degli studenti di Antropologia dell’Universidad Nacional Mayor de San Marcos (Unmsm) di Lima, l’ateneo più antico e grande del Perù, da giorni in parte occupato dagli studenti. Gli allievi di quella che è ritenuta l’università pubblica più prestigiosa del Paese stanno partecipando alla mobilitazione nazionale contro il governo che prosegue da settimane.
“Siamo consapevoli che come studenti dobbiamo svolgere un ruolo attivo nella società in direzione del cambiamento”, sottolineano le due studentesse di Antropologia. “Siamo andati davanti ai palazzi del potere per alzare la voce contro l’esecutivo della presidente Dina Boluarte, i crimini di Stato, la repressione e le violazioni dei diritti umani a danno dei cittadini. Siamo in sintonia con le istanze della piazza: dimissioni della capo dello Stato, nuove elezioni e avvio di un processo di riforma costituzionale”.
Il governo Boluarte si è insediato il mese scorso, dopo che il suo predecessore Pedro Castillo è stato deposto dal Congresso, arrestato e poi condannato a 18 mesi di detenzione preventiva con l’accusa di “ribellione”. Poche ore prima di essere rimosso dall’incarico l’ex capo dello Stato aveva tentato di sciogliere il Parlamento, prossimo a riunirsi per votare la sua messa in stato di accusa per la terza volta in meno di un anno e mezzo.
Le proteste sono scoppiate subito dopo la caduta di Castillo e proseguono ormai da settimane. Negli ultimi giorni migliaia di persone si sono mosse verso Lima per la “Marcha de los cuatro suyos”, lo stesso nome di una mobilitazione che ebbe luogo nel 2000 contro l’allora presidente Alberto Fujimori. La maggior parte dei manifestanti viene dal sud del Paese, aree rurali e con alte percentuali di popolazione nativa, soprattutto quechua e aymara. I movimenti dei contadini e dei popoli originari avevano sostenuto nel 2021 la candidatura di Castillo, ex maestro e sindacalista originario della regione rurale della Cajamarca, che si trova nel nord del Perù.
Almeno 54 persone, stando ai dati della Defensorià del pueblo del governo, hanno finora perso la vita. Ultimo in ordine di tempo un trentenne deceduto ieri ad Arequipa. Alcuni media hanno riferito di un altro decesso. Scontri si sono verificati anche a Lima, dove è andato a fuoco un grande edificio nei pressi di piazza San Martin, nel cuore della capitale.
La violenza delle forze dell’ordine in primo piano nella denuncia di Cortez e Prieto, anche in relazione all’operato degli agenti verso gli studenti. “Il modo di agire della polizia è tradizionalmente aggressivo e lo è stato durante tutta la crisi politica che da anni attraversa il Paese”, premettono le attiviste riferendosi all’instabilità politica che attraversa il Perù e che solo dal 2020 ha visto l’avvicendarsi di sei capi dello Stato, soprattutto a causa di crisi politiche. “Alcuni manifestanti usano il termine ‘assassini’ per riferirsi alla nostra polizia nazionale, visto il numero di persone ammazzate soprattutto nelle province lontane da Lima. Anche nei nostri confronti e fin da dicembre le forze dell’ordine, e anche gli agenti di sicurezza dell’università, si sono comportati in modo intimidatorio o violento, pure nei confronti dei giornalisti della nostra emittente, Rtv San Marcos”. Questo, specificano Cortez e Prieto, nonostante “non ci sono stati ancora interventi diretti dentro i locali dell’università, anche se questa opzione è sempre sul tavolo dei dirigenti dell’ateneo”.
Anche con i responsabili dell’università si stanno verificando tensioni. “Ieri si è svolto un tavolo di dialogo con i presidi di facoltà, visto che questi avevano chiesto che i manifestanti andassero via dall’ateneo” riferiscono le studentesse. “Un’eventualità del genere avrebbe grosse conseguenze, visto che molte persone che provengono da fuori non hanno parenti qui a Lima né le risorse economiche necessarie per potersi pagare un albergo in autonomia”.
Nonostante le obiezioni degli studenti un consiglio universitario aveva stabilito ieri che i dimostranti alloggiati nell’ateneo dovessero lasciarlo entro mezzogiorno. Come confermato alla Dire da Cortez e Prieto però, gli studenti “continuano a ospitare gli attivisti nel campus. Abbiamo anche messo su un centro di raccolta per delle donazioni. All’interno delle università abbiamo organizzato mense comunitarie e ci stiamo anche coordinando per l’arrivo dei pullman dal resto della provincia”.
Lima, quindi, accoglie il resto del Paese. Nella visione delle studentesse di Antropologia è proprio nella relazione fra questi due mondi, la capitale e le province, molte rurali, che risiede uno dei nodi centrali della crisi che attraversa il Perù oggi e in generale che ne caratterizza tutta la storia moderna. “In Perù, da circa tre secoli, si concentrano le risorse a Lima” dicono le studentesse. “Questo ha fatto sì che la città crescesse, in termini di opportunità e di qualità di vita, mentre il resto del Paese, al contrario, veniva sempre più trascurato. E’ necessario riconoscere non solo a livello formale, ma anche nella pratica, il contributo delle comunità native e contadine. Inoltre è importante valorizzare nuovamente l’identità delle diverse culture che animano il Perù, che è appunto un Paese multiculturale”.
Secondo Cortez e Prieto, anche per questo “bisogna avviare un processo di decentralizzazione, per poter arrivare a una maggiore equità nello sviluppo delle opportunità di tutti i peruviani”.