Politica estera turca: tra diplomazia ambigua e strategia eclettica

di Michele Magistretti * –

Prosegue la politica multivettoriale di Ankara, all’insegna di una spregiudicata realpolitik. Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan negli ultimi mesi ha lavorato per portare Ankara al centro del palcoscenico della politica internazionale offrendosi come mediatore tra Mosca e Kyiv. Contemporaneamente, continua anche il percorso di riavvicinamento con alcuni ex rivali regionali, ma si temono fughe in avanti e nuove offensive contro i curdi nella Siria settentrionale.
Vediamo quindi quali passi ha compiuto la Turchia negli ultimi mesi e i possibili scenari futuri.
Equilibrismo strategico: un percorso tra ostacoli ed opportunità – Il conflitto russo-ucraino ha concorso ad approfondire la relazione tra la dirigenza russa e quella turca. Il presidente turco può considerarsi il broker dell’accordo sul grano ucraino. Tale accordo ha evitato di mettere circa cento milioni di persone in condizioni di estrema povertà ed evitato serie difficoltà a Paesi importatori altamente dipendenti dall’export ucraino, come Egitto, Libano e Tunisia. Parallelamente, Putin ed Erdogan hanno lanciato una campagna mediatica globale in cui si ergono a difensori dei Paesi più poveri tramite programmi e promesse di aiuti alimentari.
Inoltre, i due Paesi continuano ad approfondire i legami economici. Putin ha proposto ad Ankara di diventare il nuovo hub energetico tra Europa, Russia e Medio Oriente. Questo progetto, però, si scontra con i tentativi europei di sganciarsi definitivamente dalla dipendenza dal gas russo.
Dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina, la Turchia è diventata il terzo partner commerciale di Mosca, scavalcando la Germania. Il settore tecnologico russo è ormai legato alla filiera produttiva turca per i processi di manifattura e mantenimento. Ma vi sono anche notevoli movimenti sul lato dei rapporti finanziari. Da inizio anno, sono confluiti nel paese anatolico flussi di origine sconosciuta per circa 28 miliardi di dollari, probabilmente derivanti da imprese statali ed oligarchi russi.
Dovendo cavalcare le acque burrascose della crisi economica e con un’inflazione che non aiuta la ripresa economica, la dirigenza turca continua a coltivare il riavvicinamento con antichi avversari nel mondo arabo, anche per ottenere sostegno economico e finanziario. Procede, anche se tra molte incertezze, il dialogo con Il Cairo.
Dopo i primi round di colloqui, Ankara ha fatto chiudere il canale satellitare vicino alla Fratellanza Musulmana e critico di Al Sisi, Makameleen, e alcune personalità critiche del regime egiziano hanno lasciato il Paese anatolico.
Comunque, i due Stati hanno sempre diviso la politica dagli affari. Infatti, nonostante le tensioni iniziate con il golpe del generale Al Sisi, il volume degli scambi commerciali è passato da circa 4 miliardi nel 2007 a più di 11 miliardi nel 2020 e l’accordo di libero scambio è sopravvissuto alle scosse telluriche del confronto politico.
L’Egitto è inoltre fornitore rilevante di gas liquefatto per Ankara. Rimangono comunque alcuni dossier critici, riguardo i quali le posizioni sono ancora distanti e difficilmente conciliabili. In particolare, l’Egitto e la Turchia concordano sulla necessità di stabilizzare la Libia, ma non a quale attore interno sia imputato tale compito. Ankara ormai è legata a doppio filo con il premier Abdul-Hamid Dbeibah e con il Governo di Tripoli ha siglato un recente Memorandum of Understanding per l’esplorazione di riserve d’idrocarburi in acque libiche. Il Cairo invece appoggia il premier Fathi Bashaga, che gode del sostegno della Camera dei Rappresentanti di Tobruk, e il generale Khalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica.
Sale, invece, la tensione alla frontiera meridionale della Turchia. Come rappresaglia per l’attentato ad Istanbul del 13 novembre, Ankara ha effettuato missioni anti terroristiche contro elementi del PKK, organizzazione terroristica curda, nelle regioni meridionali del Paese. Successivamente ha bombardato alcune postazioni delle Forze Democratiche Siriane, alleanza di milizie a maggioranza curda, nella regione settentrionale del Paese limitrofo. Queste manovre aeree sono state messe in atto con l’assenso di Mosca.
A complicare il quadro vi è stato il rischio d’incidente diplomatico-militare con gli USA. Alcuni bombardamenti hanno lambito una delle basi del rimanente contingente statunitense in loco, che addestra le Forze Democratiche Siriane, con le quali ha l’obbiettivo di eliminare le ultime cellule dell’ISIS. Qualora la Turchia dovesse decidere di portare avanti una nuova offensiva su larga scala, verrebbe messo a rischio il sistema di detenzione di circa dieci mila combattenti del defunto Stato Islamico, che attualmente sono tenuti sotto controllo nei campi di prigionia gestiti dalle milizie curde.

* Mondo Internazionale Post.

Articolo in mediapartnership con Giornale Diplomatico.