Politica, geopolitica e etica

di Dario Rivolta * –

Non è indispensabile ricorrere a Machiavelli per affrontare il tema del rapporto tra etica e politica. Molti ne scrissero nei secoli precedenti, a volte con un po’ d’ipocrisia, ma Tucidide cinicamente e francamente ci lasciò qualcosa che resta da sempre una verità: “I forti fanno ciò che possono e i deboli soffrono ciò che devono”. Per quanto amara e sconfortante possa suonare tale affermazione occorre prenderne atto e non illuderci che la realtà sia diversa da così o che la volontà ottimista la possa cambiare.
Da tutti i tempi le varie politiche nazionali e soprattutto la politica internazionale seguono questa logica ed è giusto che sia così. La geopolitica ha un solo obiettivo: l’interesse nazionale. Pensare diversamente non solo è inutile, è addirittura controproduttivo. Invocare la moralità nei rapporti tra Stati è utile in tempo di pace ai fini di mantenere rapporti diplomatici e culturali tra i vari popoli coinvolti ma, in tempi di confronto o addirittura di guerra, è funzionale solo alla propaganda delle parti. Certamente, l’essere umano a cui si fa rischiare la propria vita ha bisogno di una giustificazione “superiore” per essere convinto a farlo e mai ci fu una guerra in cui un esercito attaccò un altro per dichiarati motivi egoistici o soltanto materiali. Un approccio moralistico è giudicato necessario per portare interi popoli a subire, o infliggere, le distruzioni che accompagnano ogni atto bellico. Perfino il cosiddetto “diritto internazionale” è una pura finzione che viene usata dagli uni contro gli altri secondo le convenienze. Quando noi critichiamo la Russia per averlo violato con la sua invasione dell’Ucraina, dimentichiamo che noi “Occidentali” facemmo la stessa cosa invadendo la Serbia, l’Iraq e la Libia. Naturalmente, in questi casi le ragioni “morali” usate furono altre ma altrettanto faziose e addirittura inventate quali le (false) motivazioni umanitarie nel primo caso, inesistenti “armi di distruzione di massa” nel secondo e l’aiuto ai ribelli contro il potere costituito che li massacrava (in realtà si trattò di una guerra civile innescata da potenze straniere – vedi Francia, GB e USA – contro Gheddafi) nel terzo. Gli esempi di tal fatta sarebbero numerosi ma basterebbe ricordare che all’inizio del ‘900 l’invasione di eserciti europei, americani, giapponesi e russi in Cina fu anche allora giustificata con l’appello al “diritto internazionale. Qualcuno ricorderà quali stragi efferate si commisero allora contro la popolazione cinese che voleva soltanto sottrarsi al colonialismo economico straniero (e all’invadenza dei missionari cristiani contro la secolare cultura locale).
Il problema del vero iato tra le ragioni morali e quelle politiche diventa ancora più evidente quando le motivazioni morali cui ci si riferisce sono diverse e spesso contrapposte tra i vari contendenti. Dalla Seconda guerra mondiale in poi i vincitori occidentali invocarono le ragioni delle “democrazie” contro i sistemi “autoritari” dimenticando però che per attaccare la dittatura nazista che voleva occupare altre nazioni non si esitò ad allearsi con la dittatura sovietica. Anche la “guerra fredda” fu poi basata su due contrapposte visioni del mondo e ognuna delle due parti sosteneva di battersi per la maggiore libertà dei popoli contro, da un lato, “l’oppressione capitalista” e, dall’altro, la violazione delle “libertà individuali”. Ognuno non solo diffondeva al proprio interno le proprie “ragioni morali” ma cercava anche di convertire l’altra parte. In effetti ci furono anche in Unione Sovietica dei difensori (perseguitati) della liberal democrazia, così come da noi ci furono seguaci del marxismo-leninismo e perfino dello stalinismo La realtà fu che non si trattava, se non per pura propaganda, di difendere certi valori ma di semplice concetto geopolitico mirante alla conquista della supremazia mondiale. Alla barba dei “valori” propugnati, quando Churchill andò a Mosca nell’agosto del 1942 si accordò con Stalin sulla percentuale di interferenza che Gran Bretagna e Russia avrebbero potuto rispettivamente esercitare sui futuri Stati europei e, nel successivo incontro di Yalta, Roosevelt chiese semplicemente che non si parlasse di “percentuali” ma la sostanza rimase la stessa. L’atteggiamento della NATO durante i fatti di Budapest del 1956 e di Praga del 1968 dimostrarono che l’accordo teneva. Si fu frequentemente sull’orlo di una vera guerra ma, fortunatamente per tutto il tempo, essa rimase “fredda”.
Le nazioni cercano sempre la loro propria prosperità e temono le minacce ad essa e sono questi due imperativi a determinare le azioni dei vari governi. Che i tanti leader mondiali ne siano consapevoli è importante, indipendentemente da ciò che dicono ai rispettivi pubblici perché, se anch’essi credessero veramente a ciò che è predicato a gran voce alle masse come “valore”, non avremmo a che fare con dei politici bensì con dei fanatici che potrebbero diventare pericolosi.
E’ bene ricordare tutto ciò a chi crede ingenuamente che la guerra in atto in Ucraina sia davvero per la “difesa della democrazia” e che lasciare che la Russia possa vincere diventi una “sconfitta morale”. Chi ha buon senso ed è realista sa che le ragioni politiche stanno sempre dietro le motivazioni ufficialmente addotte e che oggi con Mosca un accomodamento non solo è preferibile, ma addirittura giusto.

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.