di Giovanni Caruselli –
Secondo un’indagine di Lighthouse e del Washington Post, Marocco, Tunisia e Mauritania hanno ricevuto tra il 2015 e il 2021 più di 400 milioni di euro dalla Ue per impedire ai migranti provenienti da varie zone dell’Africa di attraversare i loro confini e dirigersi verso il Mediterraneo. Al Marocco sono stati anche ceduti dalla Ue i veicoli necessari a spostare folle di disperati verso i centri di detenzione all’interno del Paese o in altri Stati come il Niger. Le scarse notizie su questi centri di detenzione segnalano l’abituale uso della violenza e le brutalità alle quali sono sottoposti i migranti che vi sono detenuti. Dal 2022 la repressione in Marocco è diventata sempre più dura, ma in maniera piuttosto discontinua. La ragione di ciò probabilmente consiste nel fatto che le sovvenzioni della Ue cesserebbero se i migranti si dirigessero verso altri Paesi rivieraschi dell’Europa.
Al confine fra la città spagnola di Melilla e la città marocchina di Nador, il 24 Giugno del 2022, sono morti 27 migranti e 70 sono scomparsi mentre tentavano di attraversare la recinzione. Si trattava di un gruppo di circa 2mila persone provenienti in buona parte dal Sudan insanguinato da una feroce guerra civile. Né i morti né gli scomparsi sono stati identificati. È probabile che episodi di questo genere accadano più frequentemente di quanto le fonti di informazione riferiscono. Le Nazioni Unite invitano genericamente gli Stati mediterranei dell’Europa a dare assistenza ai migranti, ma la Ue sembra ormai decisa a “difendere” i propri confini a sud e a est, esternalizzando così le frontiere. Bisogna aggiungere che l’Onu negli ultimi anni fa fatica a riscuotere i contributi di varie nazioni e quindi si trova in una situazione di impotenza nell’organizzare strumenti di assistenza che evitino gli effetti drammatici della grande migrazione.
I tribunali marocchini hanno condannato alla detenzione in carcere i migranti che nel 2022 avevano tentato di attraversare illegalmente il confine col territorio spagnolo di Melilla.
Le aree di Melilla e Ceuta costituiscono una anacronistica eredità coloniale che spinge i migranti dell’interno dell’Africa a vederle come un ponte raggiungibile verso l’Europa. Secondo l’OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) dal 2014 sono morte 892 persone su questo confine africano della Spagna, di cui la metà circa provenienti da zone di guerra.
I trattati internazionali riconoscono il diritto d’asilo e alla protezione a tutti coloro che fuggono da un immediato pericolo di vita, come nel caso di guerre civili, persecuzioni religiose o regimi che non rispettano i diritti umani fondamentali. L’Unione Europea ha applicato questo principio ai cittadini ucraini costretti a mettersi in salvo a seguito dell’invasione russa e lo applica abbastanza coerentemente in molti altri casi. Il problema nasce quando si ha a che fare con migrazioni di massa, come quelle in corso dal sud del mondo verso i Paesi sviluppati. Il principio teorico del dovere della protezione dei più deboli passa in secondo piano rispetto ai costi di una politica delle frontiere aperte che nessun governo europeo accetterebbe. Anche al di là dell’Atlantico lo stesso problema si è posto e si pone ancora oggi a causa delle correnti migratorie che dalle zone caraibiche, o più meridionali, si snodano lungo le strade del Messico per approdare negli Stati Uniti. La questione non è ancora stata affrontata dal punto di vista della giurisprudenza ma appare evidente che uno scarto tanto plateale fra i principi e la prassi quotidiana non potrà reggere a lungo. E questo soprattutto a rischio di accettare l’idea che ciascuno Stato può decidere arbitrariamente chi proteggere. Se poi gli esclusi dalla migrazione legale hanno la pelle nera, il fantasma del passato razzista del mondo euroatlantico riappare sotto forma di una discriminazione che in qualche modo occorre evitare. La legislazione sul diritto d’asilo va rivista e meglio articolata.