Rapporto del sindacato giornalisti palestinesi

DB

In questo mese l’Unione dei giornalisti palestinesi (PJS) ha pubblicato in un Rapporto decine e decine di testimonianze di cronisti palestinesi che hanno vissuto il calvario della detenzione nelle carceri israeliane a partire dall’8 ottobre del 2023.

Secondo quanto si legge Israele, con l’intento di sopprimere la verità sul massacro perpetuato e ancora in corso a Gaza, chiude la bocca ai media globali, attaccando direttamente i testimoni che documentano i crimini, cioè i giornalisti.

Nasser Abu Bakr, presidente dell’Unione dei giornalisti palestinesi, ha dichiarato: “I crimini contro i giornalisti sono sistematici e vanno dall’assassinio di coloro che raccontano la verità, all’intimidazione e all’incarcerazione. Tutti i media sono nel mirino. Vengono distrutte anche le abitazioni dei cronisti e uccisi i loro famigliari. Gaza è diventata così il teatro del più atroce massacro mai visto nella storia del giornalismo mondiale”.

Dall’inizio della ritorsione israeliana contro Gaza, da quel 7 ottobre 2023, l’Unione dei giornalisti palestinesi ha potuto documentare l’uccisione di 167 reporter. Due di loro risultano dispersi in seguito alle detenzioni amministrative. Inoltre, sono più di 190 i giornalisti rimasti gravemente feriti.
Delle infrastrutture della stampa nella Striscia di Gaza non resta più niente, sono state tutte distrutte.

Gli arresti avvengono sulla base di accuse di provocazione o nell’ambito della detenzione amministrativa, mediante la quale i detenuti non conoscono né le accuse contro di loro, né la durata della loro detenzione. Amnesty International definisce questa pratica come “la detenzione di una persona senza processo per un periodo determinato, con il pretesto di un fascicolo segreto al quale né il detenuto, né il suo avvocato, hanno libero accesso”.

Il Rapporto rivela anche l’arresto di oltre 125 giornalisti a Gaza, in Cisgiordania e a Gerusalemme. L’orrore non si limita al numero dei detenuti: le forme di tortura fisica e di terrore psicologico inflitte sono inimmaginabili. I giornalisti e gli avvocati, che poi sono stati rilasciati, descrivono atti di tortura che vanno oltre ogni limite: percosse con oggetti taglienti, sospensioni prolungate, privazione di qualsiasi indumento, stupri di prigionieri e minacce di morte. Queste sono le condizioni in cui hanno vissuto più di un centinaio di giornalisti, che dovrebbero essere protetti dal diritto internazionale, mentre cercavano di esercitare la loro professione.

Abu Bakr denuncia: “Le organizzazioni internazionali hanno il dovere di documentare, denunciare e far conoscere questi crimini. Gli organismi delle Nazioni Unite specializzati in questioni di tortura e detenzione sono testimoni, insieme al resto del mondo, della portata del massacro che si sta perpetuando davanti ai nostri occhi. Eppure queste organizzazioni, inclusa la Croce Rossa Internazionale, non hanno visitato le carceri nemmeno una volta dal 7 ottobre del 2023, mentre soltanto alcuni avvocati palestinesi sono riusciti ad andare a trovare alcuni prigionieri. Per quanto riguarda i relatori speciali delle Nazioni Unite che si occupano di questi temi, stiamo ancora aspettando che rilascino una dichiarazione sulla realtà dei crimini commessi nelle celle buie e fortificate delle carceri, dove i prigionieri sono incatenati con catene di ferro, privati di cibo, acqua e della dignità umana più elementare. Oltre alle percosse e alle torture, vengono ripetutamente attaccati anche da parte dei cani poliziotto”.

La maggior parte delle prigioni israeliane funzionano come basi militari dell’esercito. “Immaginate le scene all’interno dei centri di detenzione – spiega Abu Bakr – con le giornaliste spogliate, bendate, picchiate e torturate, mentre da un lato ci sono i cani che abbaiano e vengono incitati ad attaccarle, e dall’altro lato avviene un violento interrogatorio con la minaccia di violentarle. Come far fronte a tanto orrore? Ci appelliamo al diritto di chiedere a tutte le organizzazioni internazionali e ai giornalisti del mondo: dove siete voi in tutto questo?”.

Il presidente dell’Unione dei giornalisti palestinesi lancia un richiamo: “Mi appello a tutti i giornalisti del mondo affinché facciano il loro dovere professionale e umano. Queste atrocità non prendono di mira solo i palestinesi, né solo i giornalisti: questi sono crimini contro l’umanità. La protezione dei giornalisti è garantita dal diritto internazionale umanitario, dal diritto internazionale dei diritti umani, dalle Convenzioni di Ginevra e dai loro protocolli aggiuntivi, nonché dal Patto internazionale sui diritti civili e politici. I giornalisti sono dei civili, hanno diritto alle stesse tutele delle popolazioni civili. Pertanto, l’arresto, la tortura e l’uccisione di giornalisti a causa del loro lavoro professionale costituisce una gravissima violazione del diritto internazionale: è un crimine di guerra. La risoluzione 2222 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, adottata nel 2015, condanna all’unanimità tutte le violazioni commesse contro i giornalisti e denuncia con forza l’impunità per tali crimini”.

Nel Rapporto sono pubblicate diverse testimonianze, come quella del giornalista Rajai Al-Khatib, che vive a Gerusalemme: “Stavo preparando un servizio televisivo. Avevo il mio tesserino stampa visibilmente appeso al collo e avevo anche una macchina fotografica. Non appena sono arrivato a Bab al-Asbat, quattro agenti di polizia israeliani si sono avvicinati, iniziando a colpirmi. Uno di loro ha gridato: Voi giornalisti siete la causa principale della guerra. Tutto ciò che sta accadendo è grazie a voi, siete voi che scattate foto e le pubblicate”.

Un altro giornalista palestinese, Amarneh, descrive la sua detenzione: “Quando sono arrivato alla prigione di Megiddo sono stato picchiato sulla testa fino a perdere conoscenza. Quando mi sono ripreso, mi sono trovato di fronte un ufficiale israeliano. Ho chiesto di essere trasferito in ospedale per il mio diabete, che richiede cure, ma ho ricevuto solo un rifiuto. Sono stato visitato da un medico per la prima volta solo dopo quattro mesi”.

Il giornalista Ismail Maher Khamis Al-Ghoul (corrispondente del canale satellitare Al Jazeera), di 27 anni, è stato assassinato lo scorso 31 luglio da un drone israeliano pochi minuti dopo la sua diretta giornalistica. E’ stato ritrovato nella sua auto, che mostrava l’insegna della stampa, insieme al suo collega, il fotografo Rami Al-Rifi. Sono stati uccisi durante un’operazione selettiva deliberata, portata avanti dalle forze di occupazione israeliane nel campo di Al-Shati, a ovest di Gaza City.

Mishal Al-Masri, giornalista palestinese, racconta dell’incuria sanitaria nelle carceri israeliane: “C’era un medico che ci monitorava, ma non faceva il suo dovere. Eravamo legati con cavi metallici con macchie del nostro sangue sopra. Le nostre ferite sono state trattate dopo più di quattro ore, quando si erano ormai asciugate. Il dolore era continuo, 24 ore su 24, per giorni e settimane”.

Diaa Kahlout, giornalista palestinese, ha riferito altri dettagli: “La cosa tremenda è che ci sono minori, di 16 e 17 anni, oltre ad anziani e malati. Ho conosciuto un detenuto di 77 anni che soffre del morbo di Alzheimer. Con me c’erano prigionieri malati di cancro e un altro, gravemente ferito da un proiettile”.

Qadura Fares, capo della Commissione per i prigionieri palestinesi e gli affari degli ex detenuti, ha parlato delle malattie della pelle nelle carceri: “La mancanza di acqua, soprattutto calda, e la mancanza di prodotti per l’igiene, come sapone e shampoo, portano alla diffusione di malattie come la scabbia, che colpisce oltre il 60 per cento dei detenuti. Inoltre, le ferite non curate si trasformano in ulcere ed infezioni. Se l’infezione raggiunge l’osso, si rischia la cancrena e persino l’amputazione di un arto”.

L’avvocato (AJ) della Commissione per gli affari dei prigionieri e degli ex detenuti ha confermato che “le carceri israeliane sono teatro di deliberata negligenza medica nei confronti dei prigionieri, privati dell’assistenza sanitaria di cui hanno bisogno. I giornalisti detenuti soffrono di questa negligenza allo stesso modo degli altri detenuti. Questa negligenza porta al peggioramento delle loro condizioni di salute e li lascia vulnerabili a malattie croniche e gravi, senza ricevere cure adeguate”.

Fonte: Agence Media Palestine