Riflessione su cambiamenti climatici e restrizioni della Commissione europea

Ldi Dario De Marchi * –

Adesso chi lo dice alla Commissione europea? Chi avrà il coraggio di dire alla Commissione europea, ma anche all’attivista Greta Thunberg, che i tanto annunciati accordi sui tagli alle emissioni di CO2 decisi dopo le varie conferenze di Parigi, di Glasgow… sono purtroppo irraggiungibili in conseguenza delle tristi vicende belliche che affliggono da oltre due mesi il popolo dell’Ucraina e che hanno portato all’innalzamento delle sanzioni europee contro la Russia. Questa nuova drammatica realtà ha infatti fatto emergere tutta la fragilità e la dipendenza dell’Europa dalle fonti fossili ed ha costretto molti Paesi europei, incluso il nostro, ad aumentare l’uso del carbone per la produzione di energia elettrica. Adesso qualcuno ha anche il coraggio di dire che l’industria europea nel settore dell’automotive non è pronta a rinunciare alla produzione dei motori termici entro il 2035.
Molti esperti del settore industriale ed opinionisti hanno tentato in varie riprese di fare notare che con le normative in materia di tutela ambientale, fortemente volute dalla Commissione Europea e dai suoi solerti funzionari, non si risolve assolutamente nulla in campo ambientale visto che l’intera Europa rappresenta soltanto il 7% delle emissioni mondiali globali.
Di contro, per raggiungere il fatidico 20% di riduzione di emissioni di anidride carbonica in Europa, molte produzioni europee saranno costrette ad emigrare all’estero. In India e Cina dove, invece, non sono stati posti limiti alle emissioni lontanamente comparabili con quelli fissati dalla Commissione Europea.
Intendiamoci, non si vuole criticare la Commissione Europea perché sta cercando di porre obiettivi ambiziosi all’Europa in materia ambientale e di riduzione delle emissioni. Darsi obiettivi ambiziosi è sempre lodevole. Ma il porsi obiettivi impossibili è poco efficace, velleitario e controproducente come purtroppo stiamo scoprendo in questi giorni.
Questa è la vera responsabilità della Commissione Europea e della sua pletorica quanto inutile burocrazia. Una burocrazia incapace di essere propositiva e lungimirante che quindi si limita come sempre ad essere impositiva e restrittiva.
Se la Commissione Europea ed il suo presidente avessero avuto veramente cognizione del problema e avessero onestamente e non demagogicamente tentato di affrontarlo, avrebbero dovuto prima analizzare tutte le implicazioni che queste scelte generano; comprenderne veramente tutte le conseguenze, non solo ambientali ma anche industriali, economiche, sociali, oltre che strategiche. Avrebbero dovuto formulare proposte possibili per aiutare e sostenere il settore industriale responsabile delle emissioni, anziché uccidere lentamente le attività produttive europee con il “veleno delle restrizioni” interne.
Insomma, oggi stiamo tastando con mano cosa vuol dire essere dipendenti da Paesi lontani, e spesso democraticamente discutibili, per le forniture non solo di energia, ma anche di materiali e componenti essenziali per consentire alle nostre industrie ed alla nostra società di poter continuare a lavorare e vivere serenamente.
Per evitare di passare come coloro che criticano e basta, si propongono due semplici considerazioni. La prima: per ridurre le emissioni esistono tecnologie molto sofisticate e tanta ricerca disponibile, spesso inutilizzata, anche in Europa. La Commissione avrebbe potuto investire adeguate risorse per sostenere tutte le tecnologie esistenti per abbattere le emissioni e per ridurre le emissioni di gas ad effetto serra. Tra l’altro si sarebbe stimolata la ricerca scientifica applicata, dando così la stura anche a nuova occupazione, soprattutto giovanile, consolidando al tempo stesso una sorta di leadership europea a livello internazionale.
La seconda: si deve permettere ai Paesi membri di stanziare aiuti per sostenere la trasformazione e l’ammodernamento dei diversi settori industriali senza bollare gli stessi come aiuti di Stato e, quindi, sanzionarli. Ad esempio, se l’Italia oggi volesse finanziare il settore della cantieristica navale che potrebbe essere utile a ridurre il trasporto delle merci – Sud-Nord – su gomma, rischierebbe di incorrere nelle sanzioni della UE.
Si possono fare ancora tantissimi esempi, ma crediamo sia chiaro il concetto. Non è con i divieti che si migliorano le cose, ma con i piani d’azione concordati con i Paesi membri; con l’uso delle tecnologie esistenti e con i finanziamenti alla ricerca per trovare nuove efficaci soluzioni tecnologiche in grado di mitigare o risolvere i problemi.
Vediamo se qualcuno troverà il tempo per dire alla Commissione europea che è tanto ingenua quanto inefficace. E dire anche ai funzionari della Commissione che sono tanto dannosi per l’industria europea, quanto la recessione e forse più della guerra che, in modo purtroppo drammatico per il popolo ucraino e per il popolo russo, ci sta richiamando alla realtà delle cose che avevamo troppo presto e troppo facilmente dimenticato.
Non ultimo, alle Nazioni Unite suggeriamo di considerare di utilizzare il servizio di video connessione per le future conferenze sul clima. Così facendo daranno un vero contributo; anche se piccolo ma concreto, alla riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra.

* Direttore del Giornale Diplomatico.

Articolo in mediapartnership con il Giornale Diplomatico.