di Giuseppe Gagliano –
La Romania è nel pieno di una crisi istituzionale che ha scosso profondamente il Paese e fatto emergere, in controluce, il ruolo influente degli Stati Uniti nel contesto politico locale. Lo scenario è iniziato con la decisione clamorosa della Corte Costituzionale il 6 dicembre, di annullare il primo turno delle elezioni presidenziali, tenutosi il 24 novembre. Una sentenza controversa, che ha azzerato il processo elettorale e chiamato il governo a fissare una nuova data per le votazioni. Sullo sfondo l’accusa di un’ingerenza russa che avrebbe favorito il candidato di destra indipendente, Călin Georgescu, critico della NATO e vincitore del primo turno.
La decisione della Corte è arrivata dopo la “declassificazione” di documenti di intelligence che avrebbero dimostrato un’operazione massiccia di disinformazione da parte di Mosca, condotta attraverso migliaia di account sui social media, principalmente su TikTok e Telegram. Secondo queste accuse, l’obiettivo era manipolare l’opinione pubblica in favore di Georgescu, dato in netto vantaggio nei sondaggi rispetto alla sua avversaria, Elena Lasconi, candidata europeista del partito Save Romania Union.
Georgescu ha subito definito il verdetto della Corte un “colpo di Stato formalizzato” e ha denunciato un attacco diretto alla democrazia rumena. Tuttavia non sono emerse prove concrete di un impatto elettorale tale da giustificare l’annullamento delle elezioni. Le accuse di ingerenza russa si basano su ipotesi fragili e non dimostrate, ma la narrazione si è rivelata efficace nel mettere sotto accusa il candidato indipendente e nel polarizzare il dibattito politico.
Dietro le accuse di ingerenza russa si cela però una realtà più complessa. Come rivelato dal giornalista investigativo statunitense Lee Fang, la posizione di Georgescu, apertamente critica verso la NATO, ha suscitato preoccupazioni tra i funzionari statunitensi. La Romania rappresenta un pilastro strategico per l’Alleanza Atlantica, ospitando importanti programmi di addestramento per piloti ucraini e il progetto di espansione della base militare di Mihail Kogălniceanu, destinata a diventare la più grande base NATO in Europa.
In questo contesto think tank e ONG finanziati dagli Stati Uniti, tramite USAID, il National Endowment for Democracy (NED) e il Dipartimento di Stato, hanno giocato un ruolo determinante nel sostenere la narrazione dell’ingerenza russa. Organizzazioni come GlobalFocus e Funky Citizens hanno contribuito a delegittimare il risultato elettorale, puntando il dito contro piattaforme come TikTok per la diffusione di contenuti pro-Georgescu.
Tra queste ONG spicca Expert Forum, che ha ricevuto finanziamenti diretti dall’ambasciata statunitense a Bucarest per sviluppare progetti contro il “regresso democratico”. La stessa ONG ha sostenuto che alcuni account TikTok pro-Georgescu, creati nel 2016, fossero parte di un’operazione a lungo termine per influenzare le elezioni. Tuttavia, queste affermazioni non sono supportate da prove sostanziali.
La decisione di annullare le elezioni ha innescato un’ondata di proteste in tutta la Romania. Domenica 12 gennaio decine di migliaia di persone hanno marciato per le strade di Bucarest, chiedendo il ripristino del voto. Tra i manifestanti, non solo i sostenitori di Georgescu, ma anche quelli di Lasconi, uniti dalla convinzione che la decisione della Corte abbia rappresentato un grave attacco alla democrazia.
Con slogan come “Libertà” e “Riportate il secondo turno”, i manifestanti hanno denunciato il sistema politico corrotto e il controllo delle élite.
Le nuove elezioni sono state fissate per il 4 maggio, con il ballottaggio previsto due settimane dopo. Tuttavia, i sondaggi indicano che il caos elettorale potrebbe rafforzare la popolarità di Georgescu, in testa con il 22,94% delle intenzioni di voto, seguito da Lasconi e dal socialdemocratico Marcel Ciolacu.
Secondo molti analisti, la crisi elettorale riflette un malcontento più ampio nei confronti delle istituzioni rumene, percepite come troppo vicine agli interessi stranieri. La situazione rischia di polarizzare ulteriormente il Paese, mentre le accuse di ingerenza russa e il ruolo degli Stati Uniti sollevano interrogativi sul futuro della democrazia in Romania.
In questo scenario complesso, emerge un’unica certezza: la crisi elettorale ha trasformato la Romania in un campo di battaglia geopolitico, dove il controllo politico e strategico vale molto più del rispetto della volontà popolare.