di Giuseppe Gagliano –
L’incontro a Mosca tra il segretario generale dell’OSCE, Feridun Sinirlioglu, e il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha offerto un nuovo capitolo della lunga e problematica storia dei rapporti tra l’occidente e la Russia. Una storia che negli ultimi due anni si è trasformata in un confronto diretto sul campo di battaglia ucraino e in una guerra a bassa intensità tra blocchi contrapposti.
Non sorprende che la visita di Sinirlioglu abbia avuto un valore più simbolico che sostanziale: l’OSCE, un tempo considerata un organo chiave per la sicurezza paneuropea, oggi è ridotta a spettatore impotente di un conflitto che l’ha di fatto marginalizzata. Né l’occidente né la Russia sembrano più considerarla uno strumento utile per il dialogo, e il segretario generale si è trovato costretto a navigare tra dichiarazioni prudenti e un’agenda priva di vere proposte concrete. L’incontro con Lavrov è stato quindi un esercizio di diplomazia formale, ma privo di reali sbocchi politici.
L’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa nasce negli anni della Guerra Fredda con il compito di favorire il dialogo tra est e ovest. Dopo il crollo dell’URSS, ha cercato di reinventarsi come garante della sicurezza nel continente, con missioni di monitoraggio nei Balcani, nel Caucaso e nell’Europa orientale. Tuttavia, dal 2014, con l’annessione russa della Crimea e lo scoppio della guerra nel Donbass, il ruolo dell’OSCE è diventato sempre più marginale.
L’invasione su larga scala dell’Ucraina nel 2022 ha segnato il punto di rottura definitivo. Mosca ha bollato l’OSCE come un’istituzione ostaggio dell’occidente, mentre Kiev e i suoi alleati hanno smesso di considerarla un attore utile a mediare un possibile cessate-il-fuoco. Non a caso le missioni OSCE in Ucraina si sono ridotte drasticamente, e i pochi tentativi di mediazione si sono arenati in un contesto in cui nessuna delle due parti sembra disposta a scendere a compromessi.
La posizione della Russia nei confronti dell’OSCE è chiaramente ambivalente. Da un lato il Cremlino denuncia la presunta strumentalizzazione dell’Organizzazione da parte dei paesi occidentali, accusandoli di utilizzare le istituzioni internazionali come leve per isolare Mosca. Dall’altro Lavrov e la diplomazia russa continuano a partecipare alle riunioni, come accaduto durante la ministeriale OSCE di Malta lo scorso dicembre.
Perché? Per Mosca mantenere un canale aperto con l’OSCE significa avere una piattaforma diplomatica da sfruttare quando necessario. È la stessa logica con cui il Cremlino gestisce i rapporti con le Nazioni Unite: sebbene critichi l’ONU come organismo dominato dagli Stati Uniti, ne utilizza gli spazi per far passare le proprie narrazioni sul conflitto e sulle relazioni internazionali. Il messaggio di Lavrov è chiaro: l’OSCE è un’istituzione in crisi, ma finché sarà possibile utilizzarla per portare avanti la visione russa del mondo, Mosca non chiuderà del tutto la porta.
Se la Russia gioca una partita tattica, l’occidente sembra sempre più distratto e privo di una strategia chiara. L’OSCE avrebbe potuto essere uno strumento utile per costruire ponti diplomatici e cercare soluzioni di compromesso, ma i governi europei sembrano aver ormai rinunciato a investire nella sua capacità di mediazione. Preferiscono muoversi su altri canali, come la NATO o l’Unione Europea, relegando l’OSCE a un ruolo di facciata.
Il problema è che questa scelta alimenta proprio la narrativa russa: se l’OSCE non è più uno strumento di mediazione, ma solo un’ennesima arena di scontro tra blocchi, perché Mosca dovrebbe trattarla con rispetto? La politica occidentale sembra incapace di comprendere che la costruzione di un ordine di sicurezza sostenibile in Europa, anche dopo la guerra in Ucraina, non potrà fare a meno di un qualche tipo di dialogo con Mosca. Ma al momento, questo dialogo è bloccato da una combinazione di rigidità ideologica e miopia strategica.
Il viaggio di Sinirlioglu a Mosca conferma che l’OSCE è ormai un attore irrilevante nello scacchiere geopolitico europeo. Se un tempo poteva mediare tra Russia e occidente, oggi è ridotta a un’ombra di se stessa, priva di strumenti concreti per incidere sulla realtà del conflitto.
Mosca ne approfitta per ribadire il suo disprezzo verso le istituzioni multilaterali europee, mentre l’occidente sembra incapace di decidere se vuole rilanciare o archiviare definitivamente il ruolo dell’OSCE. Nel frattempo la guerra in Ucraina continua, senza reali prospettive di cessate-il-fuoco, e il dialogo tra le parti resta confinato a dichiarazioni di principio senza seguito.
Se qualcuno si aspettava un segnale di apertura da Mosca o un ruolo attivo dell’OSCE, la realtà è stata molto più chiara: siamo di fronte a un altro tentativo fallito di diplomazia senza peso.