Russia. Indenne insieme alla Cina dal blackout informatico globale di Microsoft

di Mariarita Cupersito

Venerdì 19 luglio un grave bug informatico ha paralizzato a livello mondiale molti servizi essenziali, dalla sanità al trasporto, passando per i media, mettendo in luce la vulnerabilità su scala globale delle infrastrutture digitali.
Il bug è stato causato da un problema nell’aggiornamento del sensore Falcon della ditta di cybersicurezza CrowdStrike, che ha reso inutilizzabili numerosi dispositivi con Microsoft Windows. Il tilt informatico ha portato alla cancellazione di 6.855 voli in tutto il mondo, pari a circa il 6,2% di tutti i voli di linea, con disagi che sono proseguiti nei giorni successivi al bug.
Serie ripercussioni anche nel settore sanitario, con il National Health Service (NHS) gravemente in difficoltà nel Regno Unito e il servizio di emergenza 911 fuori uso in tre Stati americani. Il mercato finanziario non è stato da meno: hanno registrato perdite le Borse di Wall Street e Londra, con le azioni di Microsoft in calo dell’1,9% e quelle di CrowdStrike in calo del 15%.
Anche grandi compagnie mediatiche come Sky News hanno dovuto fronteggiare serie difficoltà per restare operative nonostante il bug informatico.
Una crisi globale che ha reso necessarie riunioni di emergenza a livello governativo in varie parti del mondo al fine di gestire la sicurezza nazionale, ma che ha lasciato indenni sia la Russia che la Cina.
A Mosca infatti le sanzioni decise dai Paesi occidentali a seguito dell’invasione dell’Ucraina hanno spinto Microsoft e altri giganti della tecnologia a sospendere le vendite dei loro prodotti e servizi, riducendo quindi la loro presenza a beneficio di aziende come Kaspersky Lab.
Nemmeno la Cina è stata colpita dal bug globale, in quanto non dipende dal sistema Microsoft: i principali fornitori di cloud sono infatti aziende nazionali quali Alibaba, Tencent e Huawei all’esito della progressiva sostituzione, nel corso degli anni, dei sistemi It esteri con quelli nazionali ad opera delle organizzazioni governative, degli operatori infrastrutturali e delle aziende cinesi.
Anche l’Iran si è attivato per bloccare Internet, soprattutto a causa della Twitter Revolution che ha contribuito a sollevare voci critiche contro il regime, realizzando così una rete parallela e controllata.
Al fine di identificare tale fenomeno si è diffuso in questi anni il termine “splinternet”, per indicare appunto la frammentazione “protezionista” di Internet in contrasto con la visione globalizzata della rete informatica.