di Giuseppe Gagliano –
L’accusa rivolta dall’Unione Europea secondo cui la Russia starebbe producendo droni militari nello Xinjiang, regione occidentale della Cina, solleva implicazioni di notevole rilevanza sia politica che strategica, in un contesto globale già segnato da tensioni e rivalità geopolitiche. Da un punto di vista politico questa situazione mette alla prova la credibilità dell’Unione Europea e dei suoi leader, che avevano fissato una linea rossa nei confronti della Cina sul trasferimento diretto di materiale militare alla Russia. Qualora venisse confermato il coinvolgimento cinese, anche indiretto, nella produzione o nel trasferimento di droni verso Mosca, Bruxelles si troverebbe costretta a prendere misure decisive come l’imposizione di sanzioni su Pechino, rischiando di aggravare ulteriormente i rapporti già fragili con la seconda economia mondiale. Questo scenario richiede una delicata valutazione politica, poiché una mossa troppo aggressiva potrebbe spingere Pechino a consolidare ulteriormente la sua alleanza con Mosca, compromettendo gli sforzi europei per mantenere una posizione di equilibrio tra le due potenze.
Sul piano strategico l’eventuale produzione di droni russi in Cina rappresenterebbe un chiaro segnale della crescente internazionalizzazione del conflitto in Ucraina e della volontà di Mosca di superare le restrizioni derivanti dalle sanzioni occidentali attraverso partnership tecnologiche con potenze globali. Inoltre, l’implicazione della Cina nella catena di approvvigionamento militare di Mosca costituirebbe una sfida diretta al predominio tecnologico e industriale occidentale nel settore della difesa, suggerendo che il conflitto non è più limitato al teatro ucraino, ma si sta trasformando in una contesa globale per il controllo delle tecnologie dual-use. Per l’Unione Europea, questa situazione evidenzia l’urgenza di rafforzare le proprie capacità di difesa, di intensificare i controlli sulle esportazioni di tecnologia sensibile e di consolidare le alleanze strategiche con gli Stati Uniti e i partner asiatici, come Giappone e Corea del Sud, per contenere l’influenza della Cina. L’episodio inoltre sottolinea la necessità di una strategia comune e coesa tra i paesi europei, evitando divisioni interne che potrebbero essere sfruttate da Pechino o Mosca.
Infine la questione dei droni pone l’Unione Europea di fronte a un bivio tra l’adozione di misure punitive contro la Cina, che potrebbero avere un impatto negativo sugli scambi economici bilaterali, e la possibilità di perseguire un dialogo diplomatico per convincere Pechino a mantenere una posizione di neutralità, cercando al contempo di ridurre il rischio di un’ulteriore escalation del conflitto.
Le sinergie tra Russia e Cina, anche sul piano militare, non dovrebbero sorprendere se analizzate nel contesto della stretta collaborazione tra Mosca e Pechino negli ultimi anni. La Cina, pur mantenendo una posizione ufficialmente neutrale sul conflitto in Ucraina, ha dimostrato un crescente allineamento strategico con la Russia, specialmente nell’ottica di contrastare l’egemonia occidentale guidata dagli Stati Uniti. La possibilità che droni russi vengano fabbricati in territorio cinese si inserisce perfettamente in questo quadro, rappresentando un esempio dell’approccio pragmatico di Pechino, che punta a sostenere Mosca senza violare apertamente i limiti imposti dalle sanzioni internazionali. Tuttavia, ciò che appare politicamente e strategicamente rilevante è la tempistica e la fonte di questa informazione. Non è da escludere che tale informativa possa essere stata veicolata dagli Stati Uniti con l’obiettivo di intensificare le tensioni tra Cina e Unione Europea, già sotto pressione per la gestione delle loro relazioni economiche e politiche. Washington ha tutto l’interesse a rafforzare il legame transatlantico, mantenendo Bruxelles distante da Pechino, soprattutto in un momento in cui l’Unione Europea cerca di definire una propria autonomia strategica e di bilanciare i rapporti con entrambe le potenze. Far trapelare la notizia di una fabbrica di droni nello Xinjiang potrebbe alimentare la diffidenza europea nei confronti della Cina, spingendo Bruxelles ad adottare un approccio più rigido, simile a quello statunitense, e rendendo più difficile un dialogo costruttivo tra i due blocchi.
Questo scenario pone l’Unione Europea in una posizione delicata: da un lato c’è la necessità di verificare la fondatezza delle accuse e di reagire in modo proporzionato qualora le prove siano concrete; dall’altro c’è il rischio di cadere in una strategia americana volta a polarizzare ulteriormente lo scenario geopolitico, allontanando l’Europa dalla possibilità di un ruolo autonomo come mediatore globale. La questione solleva anche interrogativi sulla capacità europea di gestire le proprie relazioni internazionali senza subire influenze esterne, mostrando ancora una volta come il conflitto in Ucraina abbia implicazioni che vanno ben oltre il campo di battaglia, toccando direttamente le dinamiche strategiche globali e le relazioni tra le principali potenze mondiali.