Russia. L’Ue mette sanzioni, ma Usa e Israele intessono trattative

Oggi vertice a Gerusalemme per discutere di Siria.

di Dario Rivolta * –

L’Europa ha deciso di rinnovare ancora, per altri sei mesi e cioè fino a gennaio 2020, le sanzioni alla Russia attribuendole il continuo non rispetto degli accordi di Minsk. Contemporaneamente sono rinnovate per un anno le sanzioni imposte per l’”occupazione” della Crimea da parte di Mosca. Se ancora non si fosse capito chi conta di più in Europa, basta sapere che la cancelliera Merkel aveva già anticipato alcuni giorni fa queste decisioni al neo presidente ucraino Volodymyr Zelensky. En passant, è bene notare che mentre Berlino fa la voce dura e spalleggia apparentemente a tutela dell’Ucraina il prolungamento delle sanzioni, continua i lavori per la posa in opera del raddoppio del gasdotto North Stream. Quando tale gasdotto dovesse entrare in funzione, la Russia potrebbe interrompere l’utilizzo di quello che rifornisce l’Europa passando proprio dal territorio ucraino. Toglierebbe così a Kiev la più forte arma negoziale nei confronti di Mosca e porrebbe fortemente a rischio i rifornimenti energetici di quel Paese. Incoerenza o doppio gioco? Ognuno risponda come crede.
Mentre l’Europa, tra ipocrisie e masochismo si intestardisce ad eseguire i desideri di chi vuole il persistere della frattura con Mosca, gli Stati Uniti e Israele trattano con la stessa, come se nulla fosse, per trovare insieme una soluzione alla crisi siriana. Oggi i tre si incontrano non a Tel Aviv bensì a Gerusalemme e la località scelta non è né banale né casuale poiché si tratta della contestata capitale dello Stato ebraico. Che Mosca abbia accettato quel luogo come sede dell’incontro dimostra l’importanza che il Cremlino attribuisce al raggiungimento di una soluzione condivisa con gli altri due.
I russi hanno fatto sapere di voler tenere in considerazione anche gli interessi iraniani ma, oggettivamente, nascono spontanei dubbi sul fatto che Teheran possa fidarsi. In realtà, nonostante la Russia, l’Iran e la Turchia attualmente siano alleati in Siria, gli interessi dei tre, una volta sconfitti i locali ribelli, divergono e non c’è da stupirsi che all’incontro i russi si presentino da soli. C’è anche chi pensa che Mosca sia pronta a barattare i propri rapporti con Teheran in cambio di un “accomodamento” con Washington. Congresso permettendo, a Trump farebbe comodo e per gli israeliani costituirebbe una soluzione ottimale. Nonostante le roboanti dichiarazioni di minacce di guerra e il bluff sull’attacco fermato all’ultimo momento, gli Usa non hanno alcun interesse a impelagarsi in una nuova guerra in Medio Oriente e l’Iran comunque sarebbe un osso ben più duro dell’Iraq di Saddam Hussein. L’unica carta su cui Washington può puntare è l’indebolimento interno di quel Paese e l’aumento dell’isolamento internazionale con pure l’abbandono del sostegno russo (già non enorme) aggiungerebbe altri chiodi a quella che gli americani sperano possa essere la “bara” degli Ayatollah.
Considerato che sulla Siria gli interessi dei tre non sono lontani tra loro, un eventuale accordo potrebbe essere possibile. Agli israeliani non interessa la sorte di al-Assad e lo stesso vale per gli americani. Ciò che tutti vogliono è che la situazione in loco si possa stabilizzare impedendo sia a turchi che iraniani di esercitare un ruolo dominante sul futuro governo di Damasco. Per Israele il pericolo da evitarsi è di avere forze pro iraniane sul proprio confine a nord e l’obiettivo è di interrompere o ridurre le forniture iraniane verso Hezbollah. Gli americani, in questo spalleggiati dai propri alleati nel Golfo, puntano a indebolire l’Iran anche tagliando la linea di collegamento che via Iraq e Siria consente loro di arrivare in Libano e quindi sul Mediterraneo. Per i russi ciò che conta è restare se non l’unico, almeno il più forte supporto per un governo a Damasco e garantirsi quindi con tranquillità la permanenza delle proprie basi navali e aeree sulla costa siriana. I rapporti con Israele sono sempre rimasti aperti e non è un caso che Mosca, nonostante controlli i cieli siriani e abbia fornito i suoi missili S-300 all’aviazione di al-Assad, abbia consentito senza reagire che Israele, in più riprese negli scorsi mesi, abbia bombardato postazioni iraniane e di Hezbollah in Siria. Paradossalmente Mosca non sarebbe disturbata nemmeno se americani ed iraniani dovessero scontrarsi militarmente. Una guerra nel Golfo Persico è lontana dai suoi interessi primari e spingerebbe il prezzo mondiale del petrolio alle stelle, contribuendo a rimpinguare il suo sofferente bilancio pubblico (Il tentativo di diversificare l’economia dalla vendita di materie prime è ancora in alto mare e proprio negli ultimi mesi in Russia si è assistito ad un aumento dei fallimenti di aziende medio-piccole, quello stesso tipo di aziende che, secondo le previsioni del Cremlino, dovevano costruire la futura ossatura del sistema economico).
La Turchia, in cattive relazioni con Israele e troppo “autonoma” dalla NATO cui tuttavia appartiene, punta a poter condizionare il futuro governo di Damasco impadronendosi di una zona cuscinetto di terra ai propri confini sud. Così facendo impedirebbe la costituzione di una zona totalmente controllata dai curdi che potrebbe essere utilizzata per sconfinamenti anche dal PKK. I curdi siriani sono però gli unici veri alleati locali degli USA e abbandonarli contemporaneamente al ritiro dei propri militari significherebbe per il Dipartimento di Stato non aver più alcuna voce in capitolo nell’area. Anche i russi, nonostante spingano per aumentare la lontananza tra Ankara e Washington, non si fidano totalmente dei turchi e non hanno alcuna intenzione di condividere con loro il controllo della Siria.
Tutto quindi tra Russia, Israele e USA potrebbe combaciare e per Mosca, sempre più avviluppata nella soffocante “benevolenza” cinese, la riapertura di un rapporto virtuoso con l’Occidente è sicuramente importante.
Come sempre, noi europei rimaniamo tagliati fuori dalle importanti questioni mondiali e finiamo con l’essere una di quelle carte che vengono giocate sui tavoli da altri giocatori.

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.