di Giuseppe Gagliano –
Il segretario generale della Nato, Mark Rutte, ha ironizzato sulle “condizioni zoppicanti” del sottomarino diesel-elettrico Novorossiysk della Marina militare russa, osservato mentre navigava in superficie al largo della Francia. La flotta russa del Mar Nero ha negato categoricamente qualsiasi malfunzionamento, spiegando che l’imbarcazione si trovava in superficie per rispettare le regole internazionali di navigazione nello stretto della Manica. Tuttavia fonti olandesi e alleate hanno sostenuto che il battello fosse stato trainato nel Mare del Nord, alimentando speculazioni su problemi tecnici a bordo.
Il Comando Marittimo della Nato ha diffuso foto del sottomarino scortato da una fregata francese e monitorato da unità olandesi. Secondo canali Telegram russi, già a fine settembre erano state segnalate perdite di carburante che avrebbero aumentato il rischio di esplosione. Mosca smentisce, ma il caso ha assunto una forte valenza simbolica: un sottomarino d’attacco russo, messo in difficoltà in acque europee, durante un periodo di esercitazioni strategiche dell’Alleanza Atlantica.
Nelle dichiarazioni pubbliche, Rutte ha sottolineato il crollo della presenza navale russa nel Mediterraneo, definendo la scena del Novorossiysk “un’immagine ben diversa da quella dei romanzi di spionaggio della Guerra Fredda”. L’ironia è stata calibrata per veicolare un messaggio politico: la capacità russa di proiettare forza marittima è oggi ridotta e monitorata costantemente. Mosca, dal canto suo, rivendica la piena efficienza operativa della propria flotta e parla di “operazioni interflotta pianificate”.
Dal punto di vista tecnico, la Russia ha ragione nel sottolineare che, in base all’articolo 20 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, i sottomarini devono transitare in superficie negli stretti utilizzati per la navigazione internazionale, come la Manica. Ma al di là del dato giuridico, il fatto che l’imbarcazione fosse scortata e costantemente osservata sottolinea la debolezza della postura marittima russa di fronte a un dispositivo NATO superiore in capacità tecnologiche e logistiche.
L’episodio si inserisce in una fase di forte competizione navale e nucleare. Proprio nei giorni in cui il Novorossiysk veniva avvistato, la NATO ha avviato l’esercitazione annuale Steadfast Noon, dedicata a testare le procedure di salvaguardia e dispiegamento delle armi nucleari. L’esercitazione, guidata dai Paesi Bassi, coinvolge 71 velivoli di 14 Stati membri e ha come obiettivo il consolidamento della deterrenza nucleare dell’Alleanza. Il messaggio è duplice: dimostrare coesione militare e inviare un segnale a Mosca.
La perdita di capacità operative nel Mediterraneo e nei mari del Nord riflette un trend strutturale: la Federazione Russa concentra le risorse militari nel teatro ucraino, riducendo la capacità di sostenere in modo credibile operazioni marittime a lungo raggio. L’erosione della sua flotta d’alto mare non è solo tecnica ma strategica: meno proiezione significa meno influenza sulle rotte marittime e sugli equilibri globali.
L’episodio del Novorossiysk, amplificato dai media occidentali e usato dalla NATO come strumento di comunicazione strategica, rappresenta un tassello della guerra psicologica e simbolica tra Mosca e l’Alleanza Atlantica. Da un lato, la Russia insiste nel voler mostrare resilienza, dall’altro la NATO evidenzia le crepe dell’apparato militare russo. È una dinamica che alimenta la competizione per la percezione di forza, tanto importante quanto quella sul terreno operativo.












