di Giovanni Caruselli –
Nella notte Mosca è stata nuovamente sotto attacco di droni ucraini: i sistemi difensivi hanno intercettato e abbattuto droni lanciati dall’Ucraina e diretti sulla capitale della Federazione Russa, per la precisione una decina di cui i primi distrutti sui cieli di Podolsk, i restanti nei pressi di Mosca.
Lo ha reso noto il sindaco di Mosca Sergei Sobyanin, mentre il ministero della Difesa ha aggiunto che 11 droni sono stati abbattuti sul territorio della regione di Bryansk, sei sul territorio della regione di Belgorod, tre sulla regione di Kaluga e due sulla regione di Kursk, per un totale di 45 droni sparati sul territorio russo.
Chiusi e in seguito riaperti gli aeroporti della capitale, mentre i vigili del fuoco hanno operato per spegnere gli incendi provocati dalla caduta dei rottami nelle campagne. Non si segnalano vittime o danni a edifici o a infrastrutture, se non un condominio ad uso abitativo a Podolsk.
L’attacco missilistico su Mosca equivale di fatto a una dichiarazione di guerra e rischia di far perdere a Kiev quella legittimazione internazionale di cui ha goduto fino a ora. Mosca non è un obiettivo di importanza militare strategica, come non lo sono Kiev e le altre città che i russi hanno colpito fin dall’inizio della guerra. Ma ciò che dovrebbe preoccupare di più è il fatto che un’azione di questa portata non può essere stata decisa solamente dai vertici ucraini senza il consenso di Washington e Londra. Non è credibile che questi attacchi pretendano di piegare il Cremlino e quindi bisognerebbe chiedersi quali sono gli scopi di essi e più ancora le conseguenze nel breve e nel lungo termine. È sotto gli occhi di tutti che scelte di questo genere, soprattutto se ripetute e amplificate, allontanano milioni di anni luce non solo la pace ma anche un timido inizio di trattativa, se mai sarà possibile darvi corso.
Difatti il vicepresidente del Consiglio di sicurezza della Federazione Dmitry Medvedev ha affermato su Telegram, immediatamente dopo l’attacco, che “Ora tutti capiscono tutto, anche se non lo dicono ad alta voce. Capiscono che non ci saranno più trattative finché il nemico non sarà completamente sconfitto”.
Ma soprattutto non è più sostenibile la tesi per cui l’Europa non interviene nella guerra, se si dovesse scoprire che un qualunque tipo di arma di fabbricazione occidentale è stata diretta contro la capitale russa. La giustificazione secondo cui le armi fornite all’Ucraina dovrebbero essere usate solo per scopi difensivi incomincia a diventare ridicola. Un po’ come le automobili moderne che possono andare a 250 all’ora ma devono attenersi al limite di velocità di 130. L’ambiguità di tutta la vicenda sta per diventare tragicamente ridicola, poiché se Vladimir Putin dovesse realmente minacciare di bombardare Berlino, l’Ucraina verrebbe abbandonata a se stessa con le conseguenze che si possono immaginare. Morire per Donetsk non è certamente una scelta che la grande maggioranza degli europei privilegerebbe.
E forse ancora più grave è il fatto che gli attacchi al territorio e alle città compatterebbero l’inevitabile consenso tout court dei russi intorno allo zar che difende la Santa Russia. L’evacuazione di decine di migliaia di cittadini dalle nuove zone di guerra è un altro formidabile assist servito al capo del Cremlino su un piatto d’argento. Non possiamo sapere se essa fosse necessaria ma è stata comunque prontamente messa in atto, dimostrando ai russi che il nemico deve essere combattuto anche a costo di grandi sacrifici.
Allora qual è l’obiettivo dei burattinai? Fino a un certo punto Joe Biden ha sostenuto la tesi della guerra limitata, poi ha sollecitato l’Europa ad assumersi le sue responsabilità riguardo ai finanziamenti che servono alla Nato, negli ultimi tempi ha quasi rimosso le limitazioni nell’uso degli armamenti occidentali, in barba ai dichiarati inviti a una de-escalation. L’iniziale guerra limitata si è trasformata in un conflitto sanguinosissimo che rinfocolerà odi secolari chissà per quante generazioni. Sarebbe stato proprio impossibile far decidere ai cittadini delle regioni contese la loro futura nazionalità? La diplomazia ha fatto tutto quello che doveva fare in quest’ottica. Nel luglio del 2022, con la mediazione della Turchia e dell’Onu si era risolto abbastanza rapidamente il problema delle navi cariche di grano che dovevano attraversare incolumi il Mar Nero per arrivare a destinazione. Perché non è stato implementato, secondo lo stesso format, un programma più ampio di pacificazione? E ancora ogni giorno grazie al gasdotto di Sudzha transitano 42 milioni di metri cubi di gas per il territorio ucraino per raggiungere la Slovacchia, l’Austria e l’Ungheria, e già le importazioni di energia in Europa dalla Russia hanno superato quelle degli Stati Uniti. È evidente che se si vuole, si lavora a soluzioni condivise da ambedue le parti.
E poi l’ambiguità di queste scelte, come una malattia infettiva, ha contagiato governi e Stati quanto mai lontani ed estranei alla materia del contendere. Narendra Modi, il presidente dell’India ovvero del Paese più popoloso del pianeta, ha incontrato il mese scorso Putin in tutti i giornali del mondo lo si è visto abbracciare fraternamente il capo del Cremlino, imputato per crimini di guerra. Ma subito dopo ha incontrato anche Volodymyr Zelensky, si vuole per farsi latore di ipotetiche proposte di pace. Già vi sarà un nuovo viaggio di Modi a Mosca nei prossimi giorni, ciò perché un’infausta evoluzione del conflitto avrebbe conseguenze economiche disastrose per il suo Paese, sempre più legato alla Russia per l’import e l’export.