di Annalisa Giovannini * –
Nella recente politica estera si è fatto spesso ricorso al mondo classico con un parallelismo storico ricco di fascino come la famosa guerra del Peloponneso, in cui le due potenze di Sparta e Atene si scontrarono per una vera egemonia territoriale e un dominio del Mediterraneo che portò all’imposizione da parte della popolazione spartana nei confronti della rivale.
Nelle relazioni internazionali una situazione in cui una potenza emergente ne minaccia una consolidata contribuisce a creare un clima di tensione e instabilità che gli analisti e i politologi definiscono “Trappola di Tucidide”, ovvero un parallelismo in cui i conflitti sono generati da uno squilibrio di forze creatosi fra una potenza più antica e una giovane forza emergente.
Nonostante il largo uso storico e la metafora che si vuole imporre ad ogni costo, nella disciplina delle relazioni internazionali l’assetto politico ed economico del dragone è di fatto emerso sotto tre pilastri fondamentali: l’ammodernamento delle forze armate, la crescente digitalizzazione delle infrastrutture e un’economia pro-capite in continua crescita per una larga parte della popolazione, ha fatto sì che la politica di Xi risultasse vincente in termini di popolarità, lungimiranza e potere diplomatico.
Si possono discutere i criteri d’analisi o cambiare metro di giudizio della crescita del dragone, che sia relativa o assoluta, emerge in maniera cristallina che dalla crisi finanziaria del 2008 lo stato orientale ha contribuito al 40% dell’intera crescita mondiale.
Qui entrano in gioco una serie di differenze che potrebbero far ricredere lo stesso Tucidide in termini di applicabilità del concetto di “trappola” e delle relazioni economiche dei due paesi. Su questa prospettiva, la Cina ha già superato gli Stati Uniti. Analizzare saggiamente un partner strategico per l’intero globo come quello cinese ci porta a porci alcune domande fondamentali per capire le dinamiche che si stanno definendo attualmente tra le due superpotenze.
Il primo punto riguarda la reale sostituibilità degli USA nel mondo e nel commercio internazionale. L’ingresso cinese nel WTO voluto dalle principali potenze mondiali, USA in testa, grazie all’ammissione come attore principale ha creato una propensione e allargamento dell’economia cinese in chiave espansionistica. La seconda domanda ci porta a disquisire sul fatto se entrambi gli attori in gioco siano disposti a perseguire una reale politica egemonica globale. Il disimpegno americano su fronti bellici più caldi e l’ambiguità strategico-militare delle recenti dottrine d’oltreoceano hanno contribuito a creare un clima incoerente e imprevedibile agli occhi europei.
Il ruolo egemonico richiede spesso un senso di responsabilità che gli Stati Uniti sembrano non volere o non essere intenzionati a perseguire. Essere “i poliziotti del mondo” per gli ultimi sessant’anni, ha creato un ordine mondiale che gli stessi USA avevano preannunciato a breve termine e non duratura mettendo gli alleati di fronte a scelte strategiche obbligate e nella condizione di perseguire politiche estere basate sui principi realisti come la competizione tra stati e gli asset di interesse nazionale.
Altra mancanza e lacuna storica dall’interpretazione della Trappola di Tucidide è la fallacia cognitiva con cui le principali analisi economico-politiche vedono le relazioni internazionali. La metafora è specchio di quello che viene definito un bias cognitivo per cui si estremizza in maniera binaria una situazione dicotomica. La politica estera e le relazioni internazionali tra Stati non sono solo il pace o in guerra, come si vuole rappresentare con l’uso del parallelismo storico, ma nella complessità del mondo che caratterizza il presente status quo, i colori e le sfumature delle tante variabili che delineano le politiche estere e i relativi disordini internazionali.
Altri punti per cui la Trappola di Tucidide non calza come rapporto tra le due potenze sembra essere la posizione degli alleati dei due contendenti. Il paese di Trump ha storici rapporti e alleanze militarmente influenti che oscurano la luce di Pechino, inoltre quest’ultima subirebbe un drastico rallentamento dell’ascesa economica senza un reale beneficio. La capacità economica, culturale e militare sono i tre punti focali su cui ci si basa per analizzare le attuali influenze che i paesi intendono imporre. L’aspetto linguistico giocherebbe a favore solo dell’alleato a stelle e strisce, una possibile sostituzione della potenza USA in termini linguistici e commerciali sarebbe di difficile attuazione e un’improbabile soluzione.
Dinamica e innovatrice una e pacificamente isolazionista l’altra, oggi più che mai, ci sembra di assistere a un’inversione dei ruoli. La politica estera statunitense inizia a lasciare un grande vuoto per una volontà di disimpegno o per necessità di ripresa economica. La Cina attraverso la sua politica estera ha sempre preferito una soluzione indipendente nel contesto di un mondo multipolare oltretutto una potenza pacifica per cultura e ideologia che non necessita di espansione ulteriore. Le grandi potenze allo stato attuale, non sembrano ambire a espansioni non necessarie e soprattutto di difficile gestione politico-economica.
Xi Jinping segna una dottrina di apertura nel confronti dell’occidente dimostrando spesso di volere una Cina forte sotto il profilo economico-militare, ma un paese forte non implica necessariamente un paese anche esteso, stesso modo Trump, che ricerca una forza interna che sembra ormai perduta già quindi in difficoltà internamente. Le mire dei due paesi non sono espansionistiche, la Cina ha continuato a essere un motore importante per la crescita economica mondiale nonostante la presidenza Trump abbia implementato il divario tra i due giganti globali, scontro che se prima è iniziato come commerciale ad oggi attraversa diversi settori che Washington considera strategici per la sua supremazia planetaria.
I due leader ci ripropongono una politica in grado di rendere grandiosi i propri paesi, nell’implicita ammissione di un declino evidente e ormai chiaro all’opinione pubblica mondiale. La polarizzazione e la dicotomia delle due visioni stigmatizza e semplifica la complessità intrinseca delle relazioni internazionali. Una spirale che trascina i leader a possibili scenari dualistici e competitivi in cui la condivisione di valori comuni potrebbe mediare anche se le profonde diversità ideologiche e interessi divergenti sono tutt’ora terreno di scontro.
* Università degli Studi di Firenze UNIFI – Scuola di Scienze Politiche “Cesare Alfieri”.