a cura di Mohamed Ben Abdallah –
Alla luce dei grandi cambiamenti politici che la Siria sta attraversando, le questioni relative ai diritti umani emergono come uno dei temi più importanti che richiedono un continuo approfondimento e dibattito. Con le numerose violazioni che hanno colpito e continuano a colpire i diritti degli individui e della società, in particolare delle minoranze, cresce la necessità di sforzi concreti per proteggere questi diritti e garantire giustizia, prevenendo la violazione e gli abusi della dignità dei cittadini, indipendentemente dal loro background religioso o etnico.
Ne parliamo con Qutaiba Qasem al-Arab, presidente del Consiglio nazionale per i Diritti umani della Siria, per affrontare le sfide attuali e illustrare i meccanismi operativi adottati per raggiungere gli obiettivi in questo ambito.
– Dopo aver accolto con favore la caduta del regime di Bashar al-Assad e la conquista della libertà da parte del popolo siriano dopo oltre mezzo secolo di governo autoritario, come valuta oggi la situazione dei diritti umani? Abbiamo tutti assistito, soprattutto dopo la caduta del regime, alle violazioni che venivano perpetrate nelle carceri e ad altre atrocità che ci hanno profondamente addolorato.
“Ovviamente siamo estremamente felici di essersi liberati di questo regime criminale, che ha commesso crimini di tortura, omicidi e crimini contro l’umanità in Siria, ponendo fine a un periodo di dittatura, ingiustizia e gravi violazioni dei diritti umani. Purtroppo abbiamo scoperto ciò che temevamo: la maggior parte dei detenuti per i quali chiedevamo il rilascio, oltre 250mila individui, sono morti sotto tortura e sepolti in fosse comuni. Questi massacri e crimini richiedono la responsabilità del regime di al-Assad, dei suoi collaboratori e di chiunque sia coinvolto nel bagno di sangue siriano. La situazione dei diritti umani in Siria non era buona: era tra le peggiori al mondo, viste le atrocità e le gravi violazioni che abbiamo osservato”<=em>.
– Come ha vissuto personalmente e come ha affrontato il Consiglio nazionale per i Diritti umani, che lei presiede, l’era del regime baathista? Sappiamo che lei è stato arrestato nel 2008.
“A livello personale è stata un’esperienza molto dolorosa, caratterizzata da restrizioni e pressioni su ogni aspetto della vita per ostacolare il mio ruolo nella promozione della cultura dei diritti umani e nella loro protezione, oltre a chiedere la fine degli arresti arbitrari, la libertà di opinione, espressione e manifestazione. Ho ricevuto minacce di morte costanti, ma la nostra profonda fede nei diritti umani ci ha spinto a continuare con maggior impegno e sacrificio. Anche i miei colleghi del Consiglio hanno subito le stesse restrizioni, ma il focus maggiore è stato su di me, essendo uno dei fondatori e responsabile delle dichiarazioni, delle idee e del coinvolgimento degli attivisti universitari nel Consiglio. Ciò ha preoccupato il regime, che ci accusava falsamente di voler formare un partito segreto all’interno del Consiglio, con l’obiettivo di metterci pressione per fermare le nostre attività.
Il 20 maggio 2008 sono stato arrestato dai servizi segreti militari a Damasco, tramite rapimento e sparizione forzata in una prigione segreta del ramo 248 della sicurezza militare. Sono rimasto per otto mesi e sei giorni in isolamento sotto terra, subendo le peggiori torture. Successivamente sono stato trasferito al tribunale di sicurezza nazionale, che ha poi passato il caso alla giustizia civile. Sono stato detenuto per un altro anno senza processo o udienza, senza che venissero emesse sentenze. Ho documenti che provano questo arresto arbitrario e la sparizione forzata nelle carceri siriane. Sono uscito il 2 gennaio 2010, trovandomi con un divieto di viaggio all’estero. Ho trascorso un totale di un anno, otto mesi e sei giorni in prigione, vittima di sparizione forzata e senza processo”.
– Come lavorate per documentare le violazioni e appurare le responsabilità degli oppressori?
“Il nostro lavoro si basa su un team di coordinatori e attivisti presenti nella maggior parte delle province siriane. Sul campo monitorano e registrano le violazioni dei diritti umani, documentandole con prove, testimonianze e materiali visivi come foto e video. Questi dati vengono poi verificati in modo professionale e indipendente, senza alcuna influenza politica. Ciò che ci interessa è la dignità umana, indipendentemente dalla religione, etnia, genere, lingua o opinione politica, secondo i principi dei diritti umani in cui crediamo.
Per quanto riguarda la responsabilizzazione degli oppressori, lavoriamo su due livelli:
– un progetto di giustizia transitoria, fondamentale non solo per la responsabilizzazione ma anche per la riconciliazione nazionale tra tutte le componenti del popolo siriano, evitando la guerra civile. Questo progetto è indipendente da ogni parte del conflitto;
– la richiesta di adesione della Siria allo Statuto di Roma e alla Corte Penale Internazionale per perseguire al-Assad e i suoi collaboratori a livello internazionale. Sul piano interno, la situazione richiede stabilità e l’arresto dei membri del regime coinvolti in crimini contro il popolo siriano. Attualmente documentiamo e riceviamo denunce in vista di futuri procedimenti contro i responsabili”.
– Come vede la nuova situazione politica in Siria sotto questa amministrazione guidata da Ahmed al-Sharaa, che fino a poco tempo fa era considerato un terrorista dalla comunità internazionale?
“Dal punto di vista legale, secondo la risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu del 2014, il gruppo Hayat Tahrir al-Sham, che attualmente gestisce l’amministrazione come autorità di fatto, è stato inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche. Inoltre Ahmed al-Sharaa è stato indicato come terrorista nel 2013 dallo stesso Consiglio di sicurezza.
Osserviamo la situazione con cauto ottimismo, riservandoci di giudicare in base alle azioni concrete: il rispetto dei diritti umani, la protezione delle minoranze, l’assenza di violazioni gravi come arresti arbitrari e il progresso del processo politico con la partecipazione di tutte le componenti del popolo siriano. È fondamentale avanzare verso una conferenza nazionale e un governo di transizione ampio, secondo i principi e lo spirito della risoluzione 2254.
Attualmente monitoriamo tutte le violazioni commesse da alcune fazioni, documentandole e parlandone attraverso il nostro canale YouTube del Consiglio nazionale per i Diritti umani in modo indipendente. Il nostro ruolo rimane, sotto qualsiasi governo futuro, quello di promuovere e proteggere la cultura dei diritti umani”.
– Avete contatti con la nuova amministrazione siriana? Come risponde alle vostre iniziative?
“Poiché questa amministrazione non è eletta e agisce come governo provvisorio monocolore, con un orientamento verso uno stato religioso, le sanzioni internazionali contro la Siria non sono state revocate. Tuttavia abbiamo inviato il nostro progetto di giustizia transitoria al ministro degli Esteri siriano come gesto di buona volontà verso il popolo siriano e per valutare la serietà di questo governo. Finora non abbiamo ricevuto risposta. Attendiamo la formazione di un governo di transizione inclusivo per ampliare i rapporti, purché rispetti i diritti umani e promuova uno stato civile che rappresenti tutte le componenti del popolo siriano.
Ribadiamo che non si può imporre uno stato religioso alla popolazione siriana, data la diversità confessionale, etnica e sociale di ciascuna provincia. Per mantenere l’unità della Siria è essenziale uno stato civile, pluralistico e basato su una costituzione moderna che garantisca giustizia sociale, convivenza pacifica e diritti umani per tutti”.
– Quali sono le strategie adottate dal Consiglio per promuovere i diritti umani nella nuova Siria?
“Ci concentriamo principalmente sulla stabilità e sulla riconciliazione tra le componenti del popolo siriano attraverso il nostro progetto di giustizia transitoria. Crediamo che non si possa raggiungere la stabilità senza fermare le vendette e prevenire una guerra civile. Sono necessari tempo e leggi che proteggano i diritti umani, insieme alla ratifica delle convenzioni internazionali sui diritti umani e alla revisione della legislazione siriana.
Abbiamo una visione ampia per combattere il radicalismo e il terrorismo attraverso un approccio comunitario: organizzando seminari, modificando i programmi educativi e promuovendo la cultura della tolleranza e della convivenza tra tutte le religioni. Abbiamo altre strategie che sveleremo in base agli sviluppi sul campo e alle azioni della nuova amministrazione, osservando con cauto ottimismo”.
– Le minoranze in Siria hanno subito oppressioni e maltrattamenti per mano dello Stato Islamico, di fatto sotto gli occhi del regime precedente e dei suoi servizi segreti, che hanno sfruttato la loro sofferenza come carta politica contro la comunità internazionale. Quali sono gli sforzi che state compiendo per combattere la discriminazione basata su religione, confessione ed etnia?
“Innanzitutto, condanniamo il terrorismo in tutte le sue forme, metodi e manifestazioni. Condanniamo e denunciamo i crimini atroci perpetrati dall’organizzazione terroristica conosciuta come ISIS, così come le violazioni subite dai nostri fratelli appartenenti alle minoranze in Siria e Iraq, in particolare gli yazidi, che sono stati vittime di omicidi, stupri e torture. Anche i sunniti moderati che rifiutavano l’estremismo hanno subito violazioni da parte dell’ISIS, che considerava chiunque non concordasse con le sue idee come un nemico. Di conseguenza, l’ISIS rappresenta una minaccia per l’umanità in generale e in particolare per le minoranze, comprese donne e bambini.
Cerchiamo di garantire che fin dall’inizio la Costituzione siriana si basi sui diritti umani e sulla tutela delle libertà fondamentali, prevedendo articoli costituzionali che proibiscano ogni forma di discriminazione basata su religione ed etnia. Inoltre lavoriamo per modificare le leggi penali affinché includano disposizioni che criminalizzino gli atti di aggressione e discriminazione su base religiosa o etnica, con l’obiettivo di scoraggiare i criminali. Questo si accompagna a una sensibilizzazione culturale attraverso associazioni, seminari e programmi educativi per contrastare l’ideologia della discriminazione basata su religione o etnia”.
– Qual è il vostro messaggio alla comunità internazionale per sostenere i diritti umani in Siria?
“Il nostro messaggio si allinea con le aspirazioni della maggior parte delle componenti della società siriana. Il primo passo consiste nel sostenere i principi della risoluzione 2254, ad eccezione della clausola relativa al regime precedente. Proponiamo l’adozione di una nuova risoluzione più incisiva per supportare il popolo siriano in un processo di transizione che garantisca un governo credibile e non settario, sotto la supervisione delle Nazioni Unite, affinché il popolo siriano possa determinare il proprio destino attraverso elezioni libere.
Ribadiamo la necessità che la comunità internazionale chieda al nuovo governo di evitare qualsiasi violazione dei diritti umani, omicidi extragiudiziali e di rispettare i principi del giusto processo. Inoltre sottolineiamo l’importanza di garantire una transizione politica pacifica del potere, senza interruzioni, e di controllare gli abusi delle fazioni armate, impedendo l’intervento di combattenti stranieri nella società siriana”.