di Giuseppe Gagliano –
La visita a Mosca del presidente siriano Ahmed al-Sharaa il 15 ottobre ha avuto una portata strategica ben più ampia della retorica ufficiale. Il colloquio con il presidente Vladimir Putin ha rappresentato un test cruciale per capire fino a che punto la Russia possa ancora considerarsi un attore determinante in Medio Oriente. Mosca, storicamente protettrice di Bashar al-Assad e garante della sopravvivenza del suo regime, si trova oggi in una condizione radicalmente diversa: Assad è in esilio a Mosca, il potere in Siria è passato ai ribelli e l’equilibrio regionale è cambiato. Ma i simboli contano e il Cremlino ha voluto dimostrare che la relazione con Damasco resta strategica, soprattutto per la tenuta delle basi di Hmeimim e Tartous, colonne portanti della presenza russa nel Mediterraneo.
Per Mosca, la Siria non è solo un partner politico ma un asset logistico e strategico. Le basi di Latakia e Tartous garantiscono accesso diretto al Mediterraneo, mentre la presenza a Qamishli, nel Nord-Est siriano, permette un monitoraggio costante dei confini con Turchia e Iraq. Durante i colloqui, Putin e Sharaa hanno ribadito l’impegno a mantenere questi presidi, ma con una sfumatura nuova: la Russia punta a trasformarli in centri logistici a doppio uso, anche per l’invio di aiuti verso l’Africa. È un segnale importante: Mosca intende preservare una proiezione esterna, anche se con mezzi più limitati rispetto al passato.
L’intervento russo in Siria del 2015 aveva garantito a Mosca un ruolo di primo piano in Medio Oriente, ma dal febbraio 2022 il conflitto in Ucraina ha assorbito risorse militari, economiche e diplomatiche. La capacità russa di influire sugli equilibri regionali si è drasticamente ridotta. La crisi iraniana, acuita dai raid israeliani e statunitensi di giugno, ha ulteriormente indebolito l’asse Mosca-Teheran, lasciando il Cremlino senza la spinta di un alleato forte e attivo. Come ha spiegato l’analista Hanna Notte, la Russia oggi ha una “larghezza di banda” strategica ridotta: semplicemente non dispone più dei mezzi per giocare contemporaneamente su più scacchieri globali.
Negli anni, la Russia aveva costruito un fitto sistema di relazioni con attori regionali molto diversi tra loro: dall’Autorità Nazionale Palestinese a Hamas, da Egitto a Iran. Ma questo capitale politico si è eroso. Il rinvio del vertice russo-arabo, annunciato da Putin per il 15 ottobre e rimandato a novembre per mancanza di adesioni, è la prova più evidente di questo declino. Solo Sharaa e il capo della Lega araba, Ahmed Aboul Gheit, avevano confermato la loro presenza. La decisione di sospendere l’evento, ufficialmente per “non interferire” con l’iniziativa di Donald Trump sul cessate il fuoco a Gaza, mostra invece la difficoltà di Mosca a dettare i tempi della diplomazia mediorientale.
Il vertice per la pace a Gaza, ospitato dall’Egitto e al centro dell’attenzione mondiale, si è svolto senza la Russia. Il ministro degli Esteri Sergey Lavrov ha ammesso che Mosca non è stata nemmeno invitata. Un’esclusione che segna un cambio di paradigma: in passato, nessun grande negoziato mediorientale avrebbe ignorato la Russia. Oggi, invece, Washington, Ankara e le potenze arabe muovono i fili senza tener conto del Cremlino.
Per salvare la faccia, Mosca ha lodato pubblicamente la mediazione di Trump, anche nella speranza di influenzare le scelte statunitensi sull’invio dei missili Tomahawk all’Ucraina. Ma dietro la facciata diplomatica emergono divisioni interne: Dmitry Medvedev ha liquidato l’accordo come “privo di significato” e ha ricordato che senza uno Stato palestinese pienamente riconosciuto la guerra non finirà. La dichiarazione riflette una Russia divisa tra chi punta ancora a mantenere un ruolo attivo e chi è ormai consapevole che le priorità strategiche si sono spostate altrove.
L’assenza russa dalla conferenza egiziana, il rinvio del vertice con i Paesi arabi e la mancanza di risorse strategiche mettono in evidenza la nuova realtà geopolitica: la Russia non è più un protagonista centrale in Medio Oriente. Mantiene asset e relazioni, ma non detta più l’agenda. Il peso della guerra in Ucraina sta ridisegnando la sua proiezione internazionale, e la Siria resta più un simbolo di ciò che fu che un pilastro della sua forza futura.












