di Mohamed Ben Abdallah –
Nel contesto delle grandi trasformazioni che stanno avvenendo in Siria, l’ascesa di Hayat Tahrir al-Sham al potere si è rivelata una delle questioni più controverse, soprattutto dopo la nomina del suo leader, Ahmad al-Sharaa, a presidente del paese. Questi sviluppi sollevano numerosi interrogativi sul futuro della Siria, sulla natura del nuovo sistema politico e sulla posizione delle potenze regionali e internazionali di fronte a questo cambiamento. Inoltre l’ascesa al potere di un gruppo con un background jihadista apre il dibattito sul suo possibile impatto sui movimenti islamici della regione e sul futuro di organizzazioni jihadiste come al-Qaeda e l’ISIS.
Un altro tema cruciale riguarda il futuro delle relazioni tra la nuova Siria e Israele, soprattutto alla luce dell’occupazione israeliana di territori siriani e del mancato rispetto dell’Accordo di Disimpegno del 1974.
Hayat Tahrir al-Sham adotterà un approccio pragmatico nei confronti di Israele, come hanno fatto altri movimenti islamici, o lo scontro sarà inevitabile, anche se posticipato di anni? Per approfondire questi temi, abbiamo intervistato Abdelghani Mazouz, scrittore marocchino ed esperto di gruppi islamici.
– Come spieghi l’ascesa di Hayat Tahrir al-Sham al potere in Siria?
“In realtà Hayat Tahrir al-Sham possiede una grande forza militare. Negli anni precedenti è riuscita a sottomettere tutti i gruppi rivali, compreso l’ISIS, e si è concentrata sullo sviluppo del suo ramo militare attraverso la creazione di brigate addestrate e disciplinate, forze speciali altamente efficienti e la costruzione di un grande arsenale militare comprendente veicoli blindati, cannoni, missili e droni. Ha cercato di convincere gli altri gruppi a unificare lo sforzo militare sotto un’unica sala operativa e un’unica leadership. Di conseguenza tutti i gruppi attivi nel nord-ovest della Siria le erano segretamente o apertamente fedeli, oltre ad altri gruppi presenti nelle aree sotto il controllo dell’Esercito Nazionale, alleato della Turchia.
Quando è arrivato il momento dello scontro, era naturale che l’Hayat si imponesse sulla scena, essendo la forza maggiore e colei che deteneva il potere decisionale per dare il via alla battaglia”.
– Come hanno influito i cambiamenti regionali e internazionali su questa trasformazione in Siria?
“Senza dubbio la situazione regionale e internazionale ha giocato un ruolo fondamentale nella costruzione del nuovo scenario in Siria. La decisione di lanciare un’operazione militare contro le forze di Bashar al-Assad il 27 novembre è stata presa dopo un’attenta valutazione dei dati regionali e internazionali. Il gruppo libanese Hezbollah, uno dei maggiori alleati del regime di al-Assad, ha perso la maggior parte dei suoi leader influenti e migliaia di combattenti nella guerra contro Israele. Inoltre l’Iran ha ritirato le sue forze dalle linee del fronte in Siria, a causa della trasformazione del conflitto con Israele in uno scontro diretto. Anche le linee di rifornimento dall’Iran alla Siria attraverso l’Iraq non sono più attive come negli anni precedenti.
Questo elemento si aggiunge alla situazione della Russia, la quale a causa della guerra in Ucraina e dell’avanzata delle forze ucraine all’interno delle province russe ha dovuto rivedere le sue priorità. Ciò si è manifestato con il ritiro di diverse unità militari dalla Siria per riportarle in Russia, dove i fronti di combattimento sono in piena attività”.
– Come è cambiata Hayat Tahrir al-Sham dalla sua fondazione fino a oggi?
“Hayat Tahrir al-Sham ha subito una serie di cambiamenti e trasformazioni sia a livello di propaganda e idee che a nella sua struttura organizzativa. Concetti come “lealtà e disconoscimento”, “applicazione della sharia”, “gli alawiti” e “combattere gli apostati” non sono più predominanti nel nuovo discorso di Hayat. Al loro posto sono emersi concetti che in passato non erano accettabili tra i jihadisti, come “unità nazionale”, “coesistenza”, “supremazia della legge” e “apertura alla comunità internazionale”.
Queste trasformazioni sono state imposte dall’esperienza che l’Hayat ha accumulato in 14 anni di conflitto, soprattutto nel confronto con lo Stato Islamico (ISIS). La leadership dell’Hayat ha voluto tracciare una linea di demarcazione netta tra l’esperienza dell’ISIS e quella di Hayat nella governance e nella gestione delle comunità locali. Inoltre il conflitto con al-Qaeda e il desiderio di Abu Muhammad al-Jolani di avvicinarsi ad altre forze politiche e rivoluzionarie hanno spinto ulteriormente queste trasformazioni.
A livello strutturale Hayat ha sviluppato la sua organizzazione, istituendo un dipartimento per gli Affari politici per dialogare con l’occidente e i paesi della regione, rassicurarli e promuovere un’immagine più moderata. Ha anche potenziato il suo apparato militare, creando brigate professionali, forze speciali e un’accademia militare, oltre a un solido apparato di sicurezza. Ma il punto più importante è che ha fondato un governo civile per allontanare i signori della guerra dagli affari pubblici”.
– Si può considerare Hayat Tahrir al-Sham una nuova versione di al-Qaeda, come la vedono ancora alcuni occidentali, o si è trasformata in un’entità politica diversa?
“In realtà esistono profonde divergenze tra al-Qaeda e Hayat Tahrir al-Sham. La leadership generale di al-Qaeda e i suoi membri non sono soddisfatti della politica di Ahmad al-Sharaa sin dalla fine del 2016. Le due parti sono entrate in scontri militari sanguinosi, e Hayat ha arrestato figure di spicco di al-Qaeda.
Ora, con l’ingresso dì Hayat a Damasco e la nomina di Ahmad al-Sharaa a presidente della Siria, la frattura tra le due fazioni si è ulteriormente accentuata. Gli attivisti di al-Qaeda hanno espresso il rifiuto della maggior parte delle decisioni prese da al-Sharaa.
Sì, con le sue posizioni politiche e le sue relazioni interne ed esterne Hayat Tahrir al-Sham si è trasformata in un nuovo modello jihadista, distante da al-Qaeda. Tuttavia non è ancora così lontana da poter affermare con certezza che non vi siano punti in comune tra i due gruppi”.
– Come appare il panorama politico ed economico in Siria dopo la salita al potere di Ahmad al-Sharaa?
“È chiaro che Ahmad al-Sharaa gode di un ampio consenso e fiducia da parte di ampie fasce della popolazione siriana e delle forze politiche di opposizione. Fino ad ora non ci sono state obiezioni popolari o da parte dei gruppi contro le sue decisioni e nomine. Tuttavia la grande sfida che lo attende si articola su due percorsi. Il primo riguarda la forma del nuovo sistema politico, con tutte le complessità che ciò comporta, in particolare per quanto riguarda il consenso sulla documentazione costituzionale, la rotazione del potere e la natura del sistema politico più adatto alla Siria. Si tratta di determinare se debba essere un sistema presidenziale o parlamentare, i limiti della partecipazione politica delle altre componenti e se tutte queste evoluzioni possano essere accettate dalla base jihadista più solida che compone Hayat Tahrir al-Sham.
Il secondo percorso è la sfida di convincere la comunità internazionale a sollevare le sanzioni e a sostenere i progetti di ricostruzione, contribuendo a rilanciare l’economia siriana devastata e attirando investimenti per raggiungere il tanto auspicato recupero economico. L’economia siriana è completamente in crisi; non si può parlare di stabilità politica e di pace sociale senza un rilancio economico, ed è ciò che Ahmad al-Sharaa ha cercato di realizzare durante il suo primo viaggio all’estero in Arabia Saudita”.
– Come spiega il continuo afflusso di delegazioni internazionali a Damasco nonostante le loro preoccupazioni per il background jihadista di al-Sharaa?
“Le visite estere sono motivate principalmente dalla necessità di esplorare la situazione, valutare i nuovi governanti e ascoltare direttamente le forze vincitrici. I paesi direttamente o indirettamente influenzati dalla situazione siriana devono prendere una posizione riguardo alle nuove trasformazioni e vogliono che le loro posizioni siano basate su dati concreti piuttosto che su comunicati e rapporti. È vero che i nuovi governanti hanno una formazione jihadista, ma rappresentano al momento la migliore opzione disponibile; sono migliori rispetto all’ISIS, ad al-Qaeda e ai jihadisti stranieri. Inoltre, essi rappresentano un’autorità di fatto che non può essere ignorata”.
– Può l’ascesa di Hayat Tahrir al-Sham incentivare la partecipazione politica di altri gruppi jihadisti nella regione?
“Assolutamente sì. Il successo di un gruppo jihadista nell’accedere al potere potrebbe rappresentare un incentivo per altre organizzazioni ad intensificare le proprie attività politiche. Questo potrebbe anche spingerle a modificare la linea politica e le stesse idee jihadiste. Tuttavia un tale cambiamento non è prevedibile per gruppi radicali come l’ISIS”.
– Come influisce questa trasformazione sul futuro dell’ISIS, di al-Qaeda e dei gruppi radicali in Siria e all’estero?
“Pochi giorni fa al-Qaeda in Siria ha annunciato il proprio scioglimento, ma è ancora prematuro parlare delle posizioni definitive dei jihadisti in Siria. Solo quando il nuovo sistema politico si sarà stabilizzato sarà chiaro se potranno dirsi soddisfatti o meno. Il modello di Hayat provocherà un cambiamento radicale nell’ideologia jihadista. Se in passato le idee di Abu Muhammad al-Maqdisi, Abu Qatada al-Filistini, Abu Musab al-Zarqawi e Osama bin Laden hanno plasmato buona parte della narrativa jihadista, credo che in futuro nuovi attori jihadisti avranno un impatto significativo sulla linea jihadista, come Abdul Rahman Attoun, Mazhar al-Wais e Abu Maria al-Qahtani, che negli ultimi anni hanno formulato le posizioni dottrinali di Hayat”.
– È possibile che Hayat Tahrir al-Sham diventi un nuovo modello di governo islamico nella regione?
“Senza dubbio. Se riuscirà a stabilire un sistema politico stabile, il suo impatto sarà maggiore di quello dei Fratelli Musulmani. Il suo modello potrebbe ispirare generazioni future di militanti islamici”.
– È possibile assistere a scissioni interne ad Hayat e alla formazione di nuovi gruppi jihadisti a causa dell’approccio equilibrato e moderato adottato nella gestione politica dopo l’ingresso a Damasco?
“Non si può escludere, soprattutto se la sovranità della sharia non sarà sancita nella nuova costituzione o se la nuova amministrazione non fornirà sufficienti garanzie sul fatto che le figure appartenenti al fronte laico non avranno un ruolo politico influente nella prossima fase.
Come spieghi il cambiamento nel discorso di Hay’at Tahrir al-Sham e di Ahmad al-Sharaa riguardo alla Palestina rispetto alle loro posizioni precedenti?
Le priorità di al-Sharaa in questo momento sono unificare le fazioni, stabilizzare la sicurezza, eliminare i resti del precedente regime e convincere l’occidente a revocare le sanzioni e a sostenere i progetti di ricostruzione. Tutto ciò non sarebbe possibile se adottasse posizioni apertamente ostili a Israele nella fase attuale, specialmente sotto l’amministrazione dell’alleato Usa Donald Trump. Lo stesso al-Sharaa ha più volte sottolineato che la logica dello Stato è diversa da quella del gruppo. Mentre un gruppo ha bisogno di mobilitazione, incitamento e intimidazione per rafforzare la propria base, uno Stato ha bisogno di stabilità, calma e di rassicurare gli altri attori”.
– Dato che Hamas resta ancorata all’asse iraniano, osteggiato dalla nuova leadership siriana, è possibile vedere una cooperazione e un coordinamento tra la Siria rivoluzionaria e la resistenza palestinese?
“Ci sarà sicuramente un certo livello di cooperazione e coordinamento, ma non in questa fase. L’ultima cosa che la nuova amministrazione desidera è impegnarsi in un confronto di sicurezza, intelligence o militare con Israele”.
– La nuova leadership siriana intende adottare misure concrete a sostegno della causa palestinese o le sue priorità rimarranno concentrate sulla situazione interna?
“Nella fase attuale non ci sarà alcun sostegno concreto alla causa palestinese, se non di natura simbolica e morale. Questo potrebbe includere l’esposizione di bandiere palestinesi, la restituzione di alcune proprietà confiscate a determinate forze palestinesi e il permesso di organizzare manifestazioni e attività popolari a favore della Palestina”.
– C’è la possibilità che Hayat Tahrir al-Sham adotti un approccio pragmatico nei confronti dell’occupazione israeliana, come hanno fatto altri movimenti islamici, o lo scontro è inevitabile, soprattutto dopo l’insistenza di Israele di non ritirarsi dai territori siriani recentemente occupati e di non rispettare l’Accordo di Disimpegno del 1974?
“Lo scontro tra Israele e la nuova Siria arriverà, senza dubbio, ma non è tra le priorità attuali. Potrebbe essere rinviato per molti anni, ma un giorno avverrà. Chi osserva il percorso di Ahmad al-Sharaa noterà che ha sempre evitato e rimandato le battaglie di cui dubitava di poter uscire vittorioso, anche contro gruppi armati minori. Tuttavia quando sarà certo che le condizioni e gli equilibri militari e strategici saranno a suo favore, si lancerà nella battaglia con impeto”.