Siria. Trump fa sua la tregua, ma a cantare vittoria è Erdogan

di Giuseppe Gagliano

Regge con fatica la tregua nel nord della Siria, dove i militari turchi e le milizie dell’Ypg, ala armata del Pyd (Partito democratico curdo), si scontrano ormai da giorni a seguito dell’offensiva lanciata da Recep Tayyp Erdogan.
Offensiva che è partita dopo il via libera di Donald Trump, che ha ritirato i suoi militari dal Rojava “per non essere immischiato in guerre tribali”, e che da ieri sera avrebbe dovuto vedere la sospensione delle ostilità per 120 ore dopo l’incontro del vicepresidente Usa Mike Pence e del segretario di Stato Mike Pompeo con il presidente turco.
In sostanza l’accordo prevede il ritiro dei miliziani curdi da una fascia di 32 chilometri di profondità nel territorio siriano per 120 di larghezza per farne una sorta di zona di sicurezza sotto il controllo turco al fine di scongiurare i rapporti fra il Pkk e i curdo-siriani. La sospensione delle ostilità permetterebbe l’esodo delle centinaia di migliaia di civili curdi in fuga dai combattimenti, ma se il presidente Usa Donald Trump ha parlato di “milioni di vite che saranno salvate”, la realtà è quella di una tregua che non costituisce un successo americano ma al contrario dimostra la arrendevolezza e la debolezza statunitense di fronte alla proiezione di potenza turca in Siria. Ammesso che quanto pattuito venga effettivamente rispettato, ed al momento lo è solo in parte, Erdogan ha allo stato attuale ottenuto a livello politico il conseguimento di risultati di estrema rilevanza, a cominciare dalla sua vittoria che vede il ritiro delle milizie curde dell’Ypg dal confine con la Turchia, per arrivare al ritiro delle sanzioni americane che consentirà all’economia turca di superare almeno in parte la sua crisi in corso nonostante i rilevanti finanziamenti cinesi – di superare almeno in parte la sua crisi attuale .
Inoltre Erdogan ha dimostrato in un’ottica squisitamente realistica, al di là della retorica del diritto internazionale infranto, quanto rilevante sia una guerra seppure limitata (almeno allo stato attuale) come strumento di pressione politica per piegare i propri interlocutori e portarli al tavolo delle trattative. C’è poi la realtà del consenso politico interno di Erdogan, il quale non potrà che consolidarsi.
Dal canto suo Trump ha cercato di far passare la tregua come una sua vittoria personale, ed è intervenuto con la sua solita dialettica da cardiopalmo affermando che i curdi ed i turchi sono come “due bambini”, ed ammettendo che “Non è stato convenzionale quello che ho fatto”, ha spiegato che “a volte devi lasciarli combattere un po’. A volte devi lasciarli combattere come due bambini e poi li separi”. “Hanno combattuto per pochi giorni ed è stato parecchio violento”, ma non è stata versata “neanche una goccia di sangue americano”.
Erdogan ha oggi smentito le notizie di scontri in atto, ma l’Osservatorio siriano per i Diritti umani, organizzazione vicina alle opposizioni e con sede a Londra ma che in più occasioni ha dato prova di avere il polso della situazione, ha riportato di ostilità in corso e di vittime a Ras al-Ayn, mentre in altre località non si spara.