Siria. Turchi e ribelli attaccano Manbij, ma al-Assad la occupa in sostegno ai curdi

Delegazione turca a Mosca per chiedere pressioni su Damasco, ma trapelano solo le frasi di circostanza.

di Enrico Oliari

Il primo a fare i salti di gioia per l’annuncio del disimpegno degli Usa dal teatro siriano è stato il presidente neottamanista turco Recep Tayyp Erdogan, il quale ha interpretato la cosa come il via libera di Donald Trump alla sua guerra privata contro i curdi del Rojava (curdo-siriani). Curdi che, è bene ricordarlo, hanno rappresentato il primo vero baluardo all’espansione dell’Isis (si pensi alla storica battaglia di Kobane dell’ottobre 2014), quando la Turchia sosteneva lo Stato Islamico in funzione anti al-Assad, cosa che appare lapalissiana se si vedono le decine di migliaia di foreign fighters transitati dagli aeroporti turchi e diretti in Siria e in Iraq, i beni logistici e le armi diretti a sud e il petrolio dell’Isis partito per il nord.
Fin dall’inizio del conflitto Erdogan aveva chiesto una zona demlitarizzata di 20 chilometri entro il confine siriano, ma il suo proposito è sempre stato verosimilmente non tanto quello di tenere separati i curdo-siriani dai curdo-turchi, bensì quello di garantirsi la piena influenza politica delle aree siriane abitate dalle popolazioni turcomanne, le quali sono soprattutto ad ovest mescolate con quelle curde.
Così il primo gesto di Erdogan all’annuncio di Trump è stato quello di incrementare i combattimenti sulla città di Manbij (Bambice) dopo aver inviato in questi giorni ancora carri armati e truppe in Siria, ai quali si sono uniti i miliziani di quell’Esercito Libero che oggi conta soprattutto qaedisti e salafiti. Erdogan vorrebbe insomma spingere i curdi perlomeno al di là dell’Eufrate, per quanto la Città sia da sempre a maggioranza curda.
Negli ultimi giorni vi è stato tuttavia un colpo di scena: i curdi dell’Ypg (Unità di protezione del popolo, ala armata del Partito Democratico) si sono rivolti a Damasco per chiedere aiuto nella resistenza all’offensiva curda, per cui il presidente siriano Bashar al-Assad ha annunciato che truppe regolari sono entrate Manbij “per proteggere la sovranità nazionale e far fronte non solo al terrorismo ma anche a tutti gli invasori e occupanti del nostro territorio nazionale”. Si rischia quindi una nuova guerra dagli esiti imprevedibili, ed una delegazione turca composta dal ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu, dal ministro della Difesa Hulusi Akar e dal capo dell’Intelligence, Hakan Findan, è partita per Mosca al fine di chiedere al presidente russo Vladimir Putin di fare pressioni su al-Assad per lasciare mano libera all’Esercito Libero e ai militari turchi.
Dell’incontro non è emerso molto. Al di là delle frasi di circostanza, si è parlato di una “comprensione su come procedere le operazioni sul terreno dopo il ritiro degli Usa”. Il ministro degli Esteri Sergei lavrov ha riportato a conferenza finita che “È evidente che abbiamo riservato una particolare attenzione alle condizioni che vengono a crearsi con l’annuncio del ritiro dei militari statunitensi”: “Abbiamo raggiunto una comprensione reciproca sul fatto che i rappresentanti militari della Russia e della Turchia sul terreno continueranno a coordinare le proprie mosse nelle nuove condizioni, con l’obiettivo di eliminare definitivamente la minaccia terroristica in Siria”.
La chiave di volta è il termine “terrorista”: per i russi si tratta dei jihadisti, cioè della maggior parte dei miliziani dei gruppi “ribelli”; per i turchi sono i curdi dell’Ypg, i quali potrebbero interagire ed ospitare i loro colleghi del Pkk. Poco o nulla, quindi: per avere risposte bisognerà attendere lo svolgimento dei fatti.
Il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, si è spinto un po’ oltre spiegando che ”Oggi, abbiamo discusso le misure per attuare un memorandum sulla creazione di una zona demilitarizzata a Idlib, che è stato firmato a Sochi. Abbiamo affrontato le azioni che intraprenderemo per attuare questo memorandum ed eliminare eventuali problemi che potrebbero sorgere sulla strada per l’attuazione di questo importante documento”. Ha poi aggiunto che ”Crediamo che il memorandum abbia garantito la pace e contribuito in modo significativo a promuovere il processo politico”. Resta da capire perché se i turchi vogliono la pace continuano a far entrare carri armati in Siria e attaccano Manbij.