Somalia. Tra interessi geopolitici e caos: le dimissioni del ministro della Difesa

di Valentino de Bernardis –

Nei paesi che si sorreggono su un equilibrio precario, il ministero della Difesa ha un ruolo chiave nel mantenimento della delicata stabilità, molto più di altri dicasteri solo formalmente più importanti. Costante ancora più vera se parliamo di Stati dove l’equilibrio non è ancora stato raggiunto, come preambolo è d’obbligo per andare ad analizzare nella loro pienezza sia gli eventi che si sono susseguiti nell’ultimo mese, i cui effetti si andranno riverberare nel breve-medio periodo sia per quanto riguarda il difficilissimo (se non impossibile) processo di stabilizzazione avviato da Modagiscio, che i rapporti internazionali, specialmente con i paesi arabi.
Giovedì 12 ottobre vi sono state le dimissioni del ministro della Difesa Abdirashid Abdullahi Mohamed e del capo delle forze armate, il generale Ahmed Jimale Irfid: si tratta di un cambio di pagina completo dell’agenda politico-militare del paese di cui già da tempo intravvedevano avvisaglie; sebbene non vi sia stata un motivazione ufficiale alla base della decisione di Abdirashid, si ritiene che esse siano dovute alla mancata consultazione da parte del capo del governo Hassan Ali Khayre su alcuni temi che avrebbero riguardato il supporto militare straniero al paese, nonché un completo riposizionamento della Somalia nella contesa diplomatica saudita-qatarina.
Il 30 settembre è stata inaugurata a Mogadiscio la giù grande base di addestramento turca all’estero, in cui dovrebbero essere dislocati 200 ufficiali di Ankara per l’addestramento di circa 10mila soldati somali. Una cooperazione di primissimo piano che permette alla Turchia di mettere un primo piede nel continente africano, specialmente in una regione dove è altresì forte la presenza di aziende turche ben inserite nel contesto locale, dall’Etiopia con la produzione legata al comparto manifatturiero alla Somalia dove gestiscono tra l’altro parte dell’aeroporto internazionale di Aden Adde.
Alle concessioni fatte al governo turco sono poi seguite notizie non smentite di una profonda attività di reclutamento intrapreso dal Qatar in Somalia per rafforzare le fila del proprio esercito. Un’iniziativa forte, che risulterebbe difficile pensare essere stata intrapresa senza il beneplacito del governo somalo o la totale estraneità dello stesso, se non altro per il forte incremento del rilascio di passaporti a chi poi sarà chiamato a recarsi in Qatar.
Una giravolta a 180 gradi dell’agenda politico-militare del presidente somalo Mohamed Abdullahi (Farmajo), di cui le dimissioni del ministro della Difesa non saranno l’unico effetto collaterale. La Somalia è stata tradizionalmente, assieme a Gibuti e Sudan, uno degli Stati più filosauditi della regione, basti ricordare come nel 2015 aveva preso parte alla coalizione anti Houthi in Yemen, e nel 2016 aveva rotto le relazioni diplomatiche con Teheran sotto invito di Riyadh: la nuova stagione rischia di minare la stabilità interna somala, in quelle regioni e centri di potere dove l’impronta saudita è molto forte, come il Puntland, il South West e il Galmudug.
In questa situazione di turbolenza interna a guadagnare spazi sempre maggiori sono i terroristi di al-Shabaab che hanno ripreso da oltre un mese una intesa campagna di attentanti anche nel cuore di Mogadiscio, non ultimo quello di domenica 15 ottobre che ha causato oltre 53 morti. E certamente un ministro della Difesa dimissionario non aiuta a migliorare la situazione.
Barattare interessi geopolitici di medio periodo alla stabilità interna di breve periodo rappresenta certamente un azzardo per qualsiasi paese, specialmente per un paese dove l’equilibrio delle istituzioni e della sicurezza si basa su un sottilissimo filo pronto a cedere in qualsiasi momento, quale la Somalia. Non si può fare altro che sperare che il presidente Farmajo abbia fatto bene i suoi conti.

Twitter: @debernardisv
Le opinioni espresse in questo articolo sono a titolo personale.