di Giuseppe Gagliano –
La guerra dell’energia viene ad essere ibrida, con sabotaggi e colpi bassi fin troppo tollerati, a spese degli europei. Ne parliamo con Roland Lombardi, storico, geopolitologo e direttore della redazione di Le Diplomate Media.
– La distruzione del Nord Stream ha davvero modificato gli equilibri energetici europei, o ha semplicemente accelerato un processo di disimpegno dal gas russo avviato già nel 2014? In un contesto di cessate-il-fuoco o di pace con Mosca, l’Europa potrebbe riprendere le importazioni di gas russo? E a quali condizioni politiche e infrastrutturali, considerando l’inutilizzabilità delle condutture baltiche?
“La distruzione dei gasdotti Nord Stream 1 e 2 non rappresenta una rottura strategica, ma piuttosto il compimento di un processo avviato già nel 2014, dopo l’annessione della Crimea. Questo sabotaggio (non rivendicato fino a oggi, ma organizzato dai servizi britannici e americani) ha soprattutto sancito una traiettoria europea: il distacco strutturale dal gas russo. Un vero disastro economico e geostrategico! Tuttavia, in uno scenario di cessate-il-fuoco duraturo o di normalizzazione parziale con Mosca, non si può escludere la ripresa dei flussi di gas (che sono peraltro proseguiti discretamente e a caro prezzo attraverso altre vie e tramite intermediari), in particolare attraverso i corridoi meridionali (TurkStream) o quello ucraino, secondo logiche economiche pragmatiche. La fattibilità dipenderà dalla stabilità delle infrastrutture alternative e dal progressivo allentamento delle sanzioni”.
– Quali sono i reali margini tecnici per ripristinare il Nord Stream, e in che misura i fattori psicologici e geopolitici hanno trasformato l’energia russa in una “materia proibita”? L’Europa, in caso di distensione, sarebbe pronta ad accettare gas russo tramite l’Ucraina o la Turchia, semplicemente per ridurre i costi?
“Tecnicamente riparare il Nord Stream è possibile, ma estremamente costoso e simbolicamente intoccabile. Il gas russo è ormai, per la maggior parte dei decisori europei, una “materia proibita”, a causa di una narrazione politico-mediatica ampiamente interiorizzata. Tuttavia, in un’ottica di riduzione dei costi, soprattutto per paesi come Germania e Italia, il gas russo attraverso la Turchia (TurkStream) o l’Ucraina potrebbe tornare a essere un’opzione discreta, a condizione che non venga presentata come una dipendenza politica, bensì come una scelta razionale di diversificazione”.
– Gli sforzi di diversificazione portati avanti dall’Unione Europea – gas naturale liquefatto (GNL) dagli Stati Uniti e dal Qatar, contratti con Norvegia, Algeria o Mozambico – non creano forse una nuova dipendenza commerciale, spesso più costosa e più vulnerabile? Si può davvero parlare di autonomia strategica o si tratta piuttosto di un semplice spostamento delle dipendenze?
“Il passaggio al GNL americano e qatarino, gli accordi con Norvegia, Algeria o Mozambico, dimostrano prima di tutto il disastro e l’assurdità delle scelte geostrategiche europee. Per aver sostenuto l’Ucraina, che non aveva e non ha tuttora un interesse vitale per l’Europa, abbiamo sacrificato un partenariato energetico naturale e promettente con un alleato naturale che era la Russia! Così, per sopperire alla mancanza del gas dei “cattivi” russi (che continuiamo comunque ad acquistare di nascosto e a caro prezzo), ci riforniamo di gas di scisto americano, 3-4 volte più costoso e che gli europei si vietano di estrarre sui propri territori per motivi ambientali! Paradossale! E preferiamo alla Russia il Qatar, l’Azerbaigian o l’Algeria che, com’è noto, non sono certo modelli di democrazia!
Queste scelte non esprimono un’autonomia strategica, ma solo uno spostamento geografico della dipendenza. Questi flussi sono spesso più costosi, più volatili, soggetti alle leggi del mercato spot e alle tensioni geopolitiche. L’Europa non ha sostituito la dipendenza russa con una sovranità energetica, ha semplicemente riformulato la propria vulnerabilità attorno a un mix energetico incerto”.
– Il trasporto marittimo del GNL, oggi strategico per l’approvvigionamento europeo, comporta costi più elevati, infrastrutture dedicate e tempi di consegna più lunghi. Gli attacchi degli Houthi nel Mar Rosso e le minacce nello stretto di Hormuz hanno dimostrato la fragilità di queste rotte. L’Europa ha sottovalutato il rischio marittimo nella sua riconversione energetica?
“Certamente sì. Il trasporto marittimo del GNL dipende da chokepoint strategici (Bab el-Mandeb, stretto di Hormuz, canale di Suez) oggi sempre più instabili. Gli attacchi degli Houthi nel Mar Rosso o le minacce iraniane dimostrano quanto l’asimmetria marittima indebolisca gli approvvigionamenti. L’Europa, come sempre, ha sottovalutato il fattore geopolitico marittimo nella propria transizione, pensando di compensare una dipendenza continentale con un modello insulare… vulnerabile per sua stessa natura”.
– La caduta del regime di Bashar al-Assad in Siria aprirebbe realmente la strada a nuovi corridoi energetici verso l’Europa, come quelli che potrebbero collegare il Golfo alla Turchia e poi ai mercati europei? Oppure la presenza militare russa e iraniana in Siria continuerà a bloccare la realizzazione di tali progetti?
“La Siria, sotto al-Assad, è rimasta un blocco strategico. I progetti di corridoi energetici che collegano il Golfo alla Turchia – in particolare attraverso la Giordania e la Siria – sono stati bloccati non solo da Damasco, ma dalla presenza militare russa e iraniana. Finché questi attori controllavano lo spazio siriano, ogni tentativo di pipeline che bypassasse i loro interessi veniva neutralizzato. La caduta di Assad aprirà quasi certamente questi corridoi. In ogni caso è un esempio del fatto che, come nella vita, anche in geopolitica bisogna perseverare per riuscire: più di dieci anni dopo, arriva finalmente la vittoria dell’asse turco-qatariota, che fu in gran parte responsabile del conflitto in Siria, scatenato per far cadere Assad dopo il suo rifiuto del progetto di gasdotto qatarino”.
– Il canale di Suez e le rotte marittime del Medio Oriente rappresentano oggi dei colli di bottiglia critici: è realistico immaginare che progetti alternativi come il corridoio IMEC o percorsi terrestri eurasiatici possano garantire un approvvigionamento stabile nel breve termine? Oppure i rischi di escalation militare in Medio Oriente continueranno a condizionare i flussi energetici verso l’Europa?
“Il corridoio IMEC e i progetti terrestri eurasiatici sono strategicamente interessanti, ma tecnicamente complessi, politicamente fragili e vulnerabili ai conflitti regionali. Nessuno di questi progetti può garantire, a breve termine, un approvvigionamento stabile in un contesto mediorientale volatile. I flussi marittimi resteranno dominanti, e quindi esposti al ricatto strategico delle potenze locali e degli attori non statali.”
– Le relazioni economiche tra l’Italia e l’Asia centrale, rafforzate dalla visita di Giorgia Meloni ad Astana, possono davvero offrire un’alternativa credibile alla dipendenza dal gas russo? Oppure si rischia di sostituire una vulnerabilità nota con una nuova fragilità, legata alle rotte del Caucaso, al Mar Caspio e alle influenze incrociate di Russia, Cina e Turchia nella regione?
“L’interesse italiano per l’Asia centrale, in particolare attraverso il Kazakistan, è un tentativo intelligente di diversificazione. Ma rimane strutturalmente dipendente da corridoi sensibili (Caucaso, Caspio) e dall’influenza incrociata di Mosca, Pechino e Ankara. In altre parole, non si esce dalla logica di dipendenza: si cambiano semplicemente gli attori e le condizioni di vulnerabilità. È realismo diplomatico, non autonomia energetica”.
– Il “Piano Mattei” e le strategie italiane in Nord Africa e Asia centrale sono veri strumenti di sovranità energetica, o riflettono in realtà logiche neocoloniali, come denunciano alcuni osservatori francesi e ONG internazionali? Qual è il bilancio reale per i Paesi fornitori in termini di sviluppo e autonomia?
“Il Piano Mattei riflette innanzitutto un tentativo italiano di riposizionamento strategico nel quadro euro-mediterraneo. Certo, alcuni vi vedono un neocolonialismo, ma nei fatti si tratta soprattutto di un partenariato energetico strutturato. I Paesi fornitori (Algeria, Libia, Egitto) possono trarne benefici se gli investimenti sono accompagnati da trasferimenti tecnologici, progetti di sviluppo, e non da semplici contratti di estrazione. L’Italia cerca di conciliare sovranità energetica e diplomazia d’influenza”.
– Le energie rinnovabili avanzano in Europa, ma a velocità molto diverse tra nord e sud. Si può ragionevolmente pensare che la transizione verde garantirà la sicurezza energetica del continente entro la fine del decennio, o è ancora troppo presto per ridurre la nostra dipendenza dalle energie fossili?
“No, non nel breve termine. Le energie rinnovabili stanno crescendo ma rimangono distribuite in modo diseguale e ancora insufficienti per garantire la sicurezza energetica a livello continentale. L’intermittenza delle rinnovabili, l’insufficienza degli stoccaggi e le tensioni legate ai materiali critici (terre rare, litio) ne limitano l’efficacia strategica. La transizione verde è indispensabile a lungo termine, ma non riduce ancora la nostra dipendenza dai combustibili fossili, in particolare durante l’inverno e soprattutto nel settore militare: è ancora difficile oggi far muovere o volare un carro armato o un aereo solo con vento, sole o elettricità…”.
– Alla luce di tutti questi elementi, la distruzione del Nord Stream è stata un semplice episodio collaterale della guerra in Ucraina, oppure rappresenta, più probabilmente, il vero atto inaugurale di una guerra energetica mondiale, fatta di sabotaggi, rotte deviate, sanzioni incrociate e diplomazie commerciali parallele?
“La distruzione del Nord Stream non è affatto un incidente secondario. Oltre a dimostrare la dabbenaggine, o peggio la complicità, dei dirigenti europei nei confronti dei colpi bassi anglo-americani contro gli interessi dei popoli europei, rappresenta l’atto inaugurale di una nuova era di conflittualità energetica ibrida, segnata da sabotaggi, guerra dell’informazione, sanzioni incrociate e diplomazia dei gasdotti. Simboleggia l’ingresso dell’energia in una guerra mondiale fredda, in cui risorse, rotte e infrastrutture diventano obiettivi strategici. Il conflitto energetico è ormai permanente, globale e asimmetrico”.