Strade

di Daniele Priori –

prioriCi sono strade percorse assieme che poi diventano una strada solitaria. Strade che credevi di conoscere ma ti tradiscono per eccesso di fiducia oppure strade impervie ma vere come la roccia sulla quale si inerpicano.
Ci sono buche, erbacce, sterrati sinceri oppure asfalti, tappeti, velluti di ipocrisia.
E allora scrivo ma prima ancora vivo di strade che non sono l’ennesima rivista in rete ma scorrono libere come le radio degli anni Settanta. Strade che  parlano da sé. Che dicono il vero, anche quando è amaro e indigesto. Strade di provincia, di periferia, dove non c’è spazio per la puzza sotto il naso di chi ti conosce a giorni alterni, sempre pronto a snobbarti, a discriminarti nell’orgoglio, proprio quando non sei più tanto di moda. Salvo averti usato quando essere gay, per esempio, faceva ancora tendenza o ribelle, specie in posti come l’italico centrodestra.
Anno nuovo, vita nuova. Finiti i burlesque e le chimere da “destra europea” si cambia. Meglio, più discreto, chi dice e non dice. Meno scandaloso di chi da vent’anni ha conosciuto strade ben precise che non rinnegherà mai, in nome di nulla. E non teme di seguire una strada che non è più quella della vedova dei diritti, persa per monti a espiare lontani passati radicali.
Ma chi vuole conoscerli più questi “uomini di strade” in cui si va a “battere” pensiero solo all’apparenza serio ma in realtà serioso. Strade di gente  schifata e irridente, di un ceto autoreferenziale non meno dei vecchi intellettuali organici che con malcelato e dimentico disinteresse, toglie di mezzo l’afrore del sudore della piazza d’estate frequentata assieme, in cambio della polvere dei salotti dove “gli amici degli amici” continuano a regnare. Strade romane di grande bellezza sempre più finta e sporca, irrespirabili. Lastricate di plastica e nulla. Politica che non lascia traccia. Sono anche loro macerie del berlusconismo e non se ne sono accorti.
Cristo, invece, pare si sia fermato a Eboli e prima ancora nasceva a Betlemme in una grotta.
Cristo non conosceva le strade del potere, le porte girevoli e viscide delle stanze dei bottoni.
Cristo conosceva le strade che portavano in bordelli e carceri, tra mignotte e ladri, ad ascoltare e aiutare in silenzio.
Cristo, hanno detto, era socialista o comunista. Certo non democristiano e non aveva studiato alla Bocconi. Probabilmente non sapeva che cosa fosse la sussidiarietà e certo non si perdeva in grandi discorsi ma sapeva quali parole e quali gesti usare con chi diceva “ho sete, ho fame”.
Cristo era il pescatore visto da De André. Nostre le strade del Gorilla di Brassens.
Nostri quei marciapiedi di periferia cantanti da Renato Zero.
Nostre le strade di quel “pop” che non pretende di essere cultura moderna ma può diventarlo mettendo insieme cammino.
Le strade non si fanno di parole ma di terra, sassi, catrame.
Ci si sporca le mani e non portano alle elezioni ma disegnano la vita, vivendola. Strade come l’infinito di Leopardi e i Tempi moderni di Charlie Chaplin. Di gente che le percorre e racconta storie, mentre la Storia si fa.
Strade di tutti, mari di tutti dove non servono tessere o accrediti per entrare.
Percorsi sempre aperti a nuovi meticciati, incroci con o senza semafori. Senza protettori sulle strade dei parlamenti. I parlamenti fanno le leggi. Le strade scrivono le idee che le producono. Non sarà mai il contrario. E queste strade non saranno mai funzionali, interscambiabili,conniventi. Perderebbero la via. Come l’hanno già persa in passato. E non condurrebbero da nessuna parte.
La vita spesso ci pone di fronte a obliqui interrogativi. Che le cronache di fine epoca spiegano bene, specie se rilette molti anni dopo.
Solo allora si sarà capito chi aveva ragione. Se gli incroci sono stati naturali o forzati. Se si è seguita la vecchia regola urbanistica dei Romani, con cardi e decumani indissolubili oppure quella dei geni a libro paga della politica terrona, presunti ingegneri  o almeno si spera, che non hanno esitato a costruire strade e ponti senza nessuna destinazione diversa dal vuoto.