Sudan. Il buio in fondo al tunnel

di Mustafa Karim

Dopo lunghissimi anni in cui è apparso il Sudan tra i paesi che sostengono il terrorismo internazionale, l’accordo stipulato con l’amministrazione Usa che comporta il riconoscimento dello stato di Israele ha stabilito il depennamento del paese arabo-africano dalla lista nera. Questo tuttavia non ha impedito il veloce e continuo arretramento della situazione economica del paese, che giorno dopo giorno si trova con un nodo al collo sempre più stretto.
In passato, cioè prima della caduta del regime di Omar al-Bashir nell’aprile del 2019, le difficoltà economiche del paese erano legate all’isolamento politico internazionale, e si immaginava che con la caduta del rais tutto si sarebbe rivolto verso il meglio. Invece il paese è oggi in una situazione economicamente disastrosa, forse la peggiore dal 1956, anno in cui ha ottenuto l’indipendenza dalla Gran Bretagna.
Tutto questo accade sotto gli occhi di Abdalla Hamdok, il presidente del governo di transizione, che non sembra avere molta possibilità di azione.
Il governo attuale si è posto come obiettivo quello di rettificare il più possibile gli errori commessi dal regime islamico precedente, che per molto tempo è rimasto come un incubo per gli Usa e soprattutto per Israele dando un terreno fertile a leader di gruppi jihadisti e persino dando ospitalità a Osama bin Laden, oltre a supportare il movimento palestinese di Hamas.
Anche se l’accordo con Trump sembra soddisfare la gran parte dei membri del governo attuale, non unisce tutte le forze politiche rappresentanti del popolo sudanese. Alcuni partiti non si sono mai espressi sull’accordo mentre altri hanno molto chiaramente respinto il riconoscimento di Israele fino ad identificarlo come un patto diabolico.
Tra i soddisfatti tuttavia ci sono state esitazioni, anche perché la questione del riconoscimento di Israele è apparsa solo in un secondo momento. L’accordo iniziale prevedeva il pagamento del risarcimento per le vittime del terrorismo (353 mln di dollari) e la cancellazione del nome del Sudan dalla lista dei paesi che danno appoggio al terrorismo. Dopo il pagamento del risarcimento, Trump in un colloquio telefonico con i leader del governo di transizione ha preteso il riconoscimento di Israele e così il governo di un paese allo stremo si è trovato senza scelta.
Con l’accordo ormai fatto, molti dei sostenitori dell’idea di normalizzazione dei rapporti con Israele immaginavano vi sarebbe stata un’influenza positiva sulla situazione politica ed economica del paese, e questa era anche la speranza di molti che non approvavano del tutto la normalizzazione con Tel Aviv; invece, con il passare dei giorni, il paese si trova sempre più in difficoltà soprattutto per la situazione pandemica, che ha causato la chiusura di molti paesi in se stessi, mentre una gran parte dei politici sudanesi pretendeva maggior supporto da stati amici ed alleati.
Sono molte le sfide che aspettano il governo Hamdok, a cominciare dalla complicata partnership al consiglio di transizione con il congresso militare di Abdelfattah Al-Burhan che, secondo molti osservatori, è la vera forza governante del paese. A Khartoum si ripetono ormai da settimane corpose manifestazioni per chiedere la civilizzazione totale del governo di transizione. Richieste fondate soprattutto dalla paura di rivivere l’incubo del generale al-Bashir. Per altri invece il governo Hamdok sta facendo tutto il possibile mettendo l’accordo di pace firmato a Juba con i movimenti armati che combattevano al-Bashir in Darfur e lo stato del Nilo Blu come uno dei punti più importanti nella storia contemporanea del paese. Il governo Hamdok ha inoltre cancellato leggi limitanti le libertà, come quella dell’ordine pubblico con cui il governo precedente faceva propaganda affermando di applicare la legge islamica (Sharia).
Il punto economico però resta quello che unisce tutti nello sconforto, con il bilancio dell’anno 2020 ormai concluso che vede il paese difronte ad una catastrofe economica. Nel bilancio del 2019 il Sudan si trovava con l’inflazione al 57% , una situazione già drammatica, per cui non vi è nulla di sorprendente con un governo al potere da meno di tre mesi. Quest’anno l’inflazione è salita al 265%, ed il Sudan è ormai uno dei primi cinque paesi al mondo a raggiungere questo numero con 4 miliardi di dollari in meno rispetto al bilancio dell’anno passato e con il dollaro passato da 70 sterline sudanesi alle 280.
Con questi dati l’unica speranza economica che resta al Sudan è quella di utilizzare nel modo più saggio possibile le varie donazioni e i prestiti, che in realtà si aspettavano ben prima di adesso, ritardi dovuto alla pandemia globale. Una delle risorse che possono soccorrere il bilancio economico del Sudan sono anche i beni recuperati ai membri dell’ex regime, anche se questo richiede modifiche politiche e giudiziarie che ancora non sono state fatte.