di Giuseppe Gagliano –
La Corte Internazionale di Giustizia (CIG) dell’Aia ha rigettato la causa intentata dal Sudan contro gli Emirati Arabi Uniti, accusati da Khartum di complicità in atti genocidari per il loro presunto sostegno alle Forze di Supporto Rapido (RSF), le milizie paramilitari protagoniste della devastante guerra civile in corso nel paese africano.
Il verdetto, espresso con 14 voti favorevoli e solo 2 contrari, non entra nel merito delle accuse: la Corte ha stabilito di “non avere giurisdizione”, in virtù di una riserva formale inserita dagli Emirati al momento della ratifica della Convenzione sul genocidio del 1948. In altri termini, Abu Dhabi aveva chiarito fin dal 2005 che non intendeva accettare il giudizio della CIG in caso di controversie sul tema. La conseguenza: il caso è stato cancellato dal ruolo senza alcuna valutazione di merito.
Da un lato c’è l’esultanza diplomatica di Abu Dhabi, che ha parlato di “vittoria del diritto” e di “accuse infondate”. Dall’altro, la frustrazione del Sudan e di numerose organizzazioni per i diritti umani, che vedono nella sentenza un pericoloso precedente: un ostacolo alla possibilità di chiamare in causa potenze esterne per il loro ruolo nei conflitti per procura che infiammano il pianeta.
Nel cuore della questione resta la tragedia del Darfur occidentale. Khartum ha accusato le RSF, e indirettamente gli Emirati Arabi Uniti, di crimini sistematici contro la popolazione Masalit: uccisioni di massa, stupri, pulizia etnica. Una spirale di violenza che, secondo l’ONU, ha portato a centinaia di migliaia di morti e milioni di sfollati. Gli Stati Uniti hanno già imposto sanzioni a diversi leader delle RSF e a società con base negli Emirati, accusate di contrabbando d’oro e traffici d’armi. Eppure nella sua decisione la CIG si è limitata a rilevare l’assenza di giurisdizione, senza pronunciarsi sulla veridicità delle accuse.
Il Sudan, reduce dallo sprofondamento in una guerra intestina esplosa nell’aprile 2023 tra le RSF e l’esercito regolare, ha tentato di ottenere misure provvisorie per fermare l’invio di armi e denaro alle milizie. Tuttavia, gli Emirati hanno sempre negato ogni coinvolgimento diretto, parlando piuttosto di una “campagna diffamatoria”.
Le indagini giornalistiche e i rapporti delle ONG, tuttavia, raccontano un’altra storia. Fonti indipendenti, da Middle East Eye all’Osservatorio dei Conflitti, hanno tracciato una fitta rete logistica attraverso Libia, Ciad e Repubblica Centrafricana che collegherebbe Abu Dhabi alle RSF. Voli sospetti, transazioni opache, ospedali di facciata. La diplomazia emiratina respinge, la documentazione internazionale si accumula.
La sentenza della Corte, seppur tecnicamente fondata, rischia quindi di produrre un messaggio ambiguo: la giustizia internazionale può essere elusa con sufficiente anticipo e abilità giuridica. Il diritto, insomma, si piega alle riserve formali, mentre le vittime aspettano un riconoscimento che non arriva. Intanto, in Darfur si continua a morire.