di Giuseppe Gagliano –
Il governo del Sudan ha deciso di richiamare il proprio ambasciatore dal Kenya il 20 febbraio, in segno di protesta contro l’accoglienza riservata a Nairobi ai rappresentanti delle Forze di Supporto Rapido (RSF), la milizia paramilitare in conflitto con l’esercito sudanese da quasi due anni. Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa ufficiale SUNA, il Ministero degli Esteri sudanese ha convocato il diplomatico per “consultazioni”, denunciando l’ospitalità offerta dal Kenya ai leader delle RSF e ai loro alleati come un atto ostile nei confronti di Khartoum.
L’episodio scatenante è stato un evento tenutosi il 18 febbraio al Centro internazionale di Conferenze Kenyatta di Nairobi, durante il quale il vice comandante delle RSF, Abdul Rahim Dagalo, attualmente sotto sanzioni statunitensi, è stato accolto da una folla di sostenitori. In quell’occasione, le RSF hanno annunciato l’intenzione di firmare un documento per la creazione di un “governo di pace e unità” in Sudan. La firma, inizialmente prevista per lo stesso giorno, è stata posticipata al 21 febbraio per consentire ulteriori negoziati con Abdel Aziz al-Hilu, leader di un’altra fazione ribelle sudanese.
Il ministero degli Esteri del Kenya ha giustificato l’evento sostenendo che rientra nel suo ruolo di mediatore nel processo di pace, affermando che “fornire una piattaforma neutrale alle parti in conflitto è essenziale per facilitare soluzioni negoziate”. Tuttavia, Khartoum accusa il presidente keniota, William Ruto, di perseguire interessi personali e commerciali in collaborazione con gli Emirati Arabi Uniti, ritenuti i principali finanziatori delle RSF.
Intanto, le atrocità del conflitto proseguono. Attivisti e funzionari sudanesi riferiscono che combattenti delle RSF hanno massacrato oltre 200 persone, inclusi neonati, durante un attacco di tre giorni a due villaggi nello stato del Nilo Bianco. Il Ministero degli Esteri sudanese parla di 433 vittime. Nel Darfur, invece, le RSF hanno attaccato un campo per sfollati nella città di El Fasher, causando decine di morti.
Dal 15 aprile 2023, data di inizio delle ostilità, il Sudan ha visto decine di migliaia di morti e oltre 12 milioni di sfollati, precipitando in una crisi umanitaria senza precedenti. L’esercito mantiene il controllo delle regioni orientali e settentrionali, mentre le RSF dominano gran parte del Darfur e alcune zone meridionali. Tuttavia, nelle ultime settimane, le Forze Armate Sudanesi (SAF) hanno riconquistato diverse città strategiche e gran parte della capitale Khartoum.
L’ONU ha espresso preoccupazione per l’iniziativa politica delle RSF, temendo un’ulteriore frammentazione del Sudan. Anche la Lega Araba ha condannato qualsiasi tentativo di divisione del Paese. Secondo il New York Times, gli Emirati Arabi Uniti continuano a fornire supporto finanziario e militare alle RSF, determinati a garantire che il loro alleato non esca sconfitto dal conflitto.
Il 10 febbraio, il Ministero degli Esteri sudanese ha presentato una tabella di marcia post-bellica, delineando i passi per il ripristino della stabilità e l’organizzazione di elezioni democratiche, chiedendo il sostegno della comunità internazionale. Le SAF hanno posto come prerequisiti per eventuali negoziati di pace la fine dell’assedio a El Fasher, il ritiro delle RSF dalla capitale e il ripristino dell’ordine nelle province del Kordofan occidentale e del Darfur.












