di Giuseppe Gagliano –
Il presidente russo Vladimir Putin si è congratulato con il suo omologo tagiko, Emomali Rahmon, per la vittoria del Partito Democratico del Popolo nelle elezioni parlamentari. Con il 52% dei voti e 12 seggi su 22, il partito di Rahmon conferma il controllo politico di un paese cruciale per l’influenza russa in Asia centrale. Ma dietro alle celebrazioni ufficiali, si cela una realtà geopolitica complessa.
Il Tagikistan è un tassello fondamentale nel mosaico della sicurezza regionale russa. Con una lunga frontiera con l’Afghanistan e storiche tensioni con il Kirghizistan, Dushanbe dipende militarmente da Mosca. La presenza della 201ma base militare russa sul territorio tagiko non è solo un simbolo dell’alleanza, ma una necessità strategica per contenere il jihadismo e stabilizzare il confine meridionale della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI).
Allo stesso tempo il Tagikistan è sempre più attratto dalla Cina. Pechino ha investito miliardi in infrastrutture e risorse minerarie, utilizzando il Tagikistan come porta d’accesso all’Asia centrale. La crescente dipendenza economica da Pechino sta riducendo il margine di manovra di Mosca, che deve bilanciare il controllo strategico con una crescente competizione economica cinese.
Le elezioni tagike, pur essendo una conferma dell’autorità di Rahmon, non sono prive di incognite. Il confine con il Kirghizistan, ancora soggetto a dispute territoriali, rimane un potenziale focolaio di conflitto. L’accordo recentemente firmato per la delimitazione definitiva potrebbe ridurre le tensioni, ma resta da vedere se sarà rispettato sul campo.
Inoltre il fattore afghano continua a rappresentare un rischio. I talebani hanno promesso di non esportare instabilità nei paesi vicini, ma gruppi jihadisti come l’ISIS-K potrebbero usare il Tagikistan come punto di transito per attacchi nella regione. La Russia, consapevole del pericolo, ha rafforzato la cooperazione antiterrorismo con Dushanbe.
Mosca continua a usare il settore energetico come strumento di influenza. La Russia copre quasi completamente il fabbisogno tagiko di idrocarburi e sta valutando nuovi investimenti in centrali elettriche. Tuttavia, anche in questo settore la concorrenza cinese si fa sentire: Pechino finanzia dighe e infrastrutture elettriche per ridurre la dipendenza del Tagikistan dalla Russia.
Parallelamente l’estrazione di metalli rari rappresenta una nuova frontiera strategica. La Rosatom ha avviato progetti per lo sfruttamento delle risorse minerarie tagike, mentre Pechino sta cercando di entrare nello stesso mercato. Chi riuscirà a consolidare il proprio ruolo in questo settore avrà una leva geopolitica non indifferente.
Il Tagikistan rimane una pedina fondamentale nel grande gioco geopolitico dell’Asia centrale. Mosca, per ora, mantiene il primato in ambito militare e politico, ma l’influenza economica cinese è in costante crescita. Le elezioni hanno confermato la stabilità del regime di Rahmon, ma il futuro del paese dipenderà dalla sua capacità di navigare tra le pressioni di Mosca e Pechino senza perdere la propria autonomia strategica.