di Enrico Oliari –
La leadership politica della presidente Tsai Ing-wen è uscita sconfitta dalle elezioni locali che si sono svolte a Taiwan, dove in ballo vi era la guida di 22 tra contee e città, compresa la capitale Taipei. In quest’ultima sarà sindaco il pronipote del “Generalissimo” Chiang Kai-Shek, il giovane avvocato ed ex deputato Chiang Wan-an del partito nazionalista Kuomintang. Partito che si è affermato un po’ ovunque, costringendo la pasionaria Tsai Ing-wen a dimettersi dalla guida del Partito Democratico Progressista, notoriamente su posizioni filo-statunitensi. Anche il primo ministro Su Tseng-chang ha fatto sapere l’intenzione di dimettersi, ma la presidente gli avrebbe già chiesto di rimanere per garantire la continuità di governo.
Il Kuomintang si è affermato anche a Taichung, Nuova Taipei e Taoyuan, mentre il Dpp ha vinto nella città portuale di Kaohsiung e in altre città minori e contee.
Per quanto in campagna elettorale i temi trattati avessero riguardato quasi esclusivamente le realtà territoriali, la vittoria del Kuomintang assume oggi, in un momento di forte tensione con la Repubblica Popolare Cinese, un significato politico importante, per comprendere il quale è necessario premettere che la Repubblica di Cina (Taipei) e la Repubblica Popolare Cinese (Pechino) si considerano a vicenda secessioniste, dopo che nel 1949 fu sconfitto il Kuomintang e Taipei venne proclamata capitale di tutta la Cina; Taiwan inoltre non gode dal 1971 del riconoscimento internazionale, ma gli Usa sono presenti con un ufficio commerciale e soprattutto con ingenti forniture di armi. Già nel 2019 il Libro Bianco stabilito al Congresso del Popolo della Repubblica Popolare Cinese riportava il proposito di annettere Taiwan anche a costo di intraprendere azioni di forza, cosa ribadita anche al Congresso di quest’anno che ha visto la riconferma di Xi Jinping.
Ed è proprio la diversa impostazione del Kuomintang e del Partito Democratico Progressista a fare la differenza nella risposta alle pressioni (per non dire alle minacce) di Pechino.
Teoricamente il Kuomintang farebbe parte della coalizione “Pan Azzurra” insieme al Partito Prima la Gente e al Nuovo Partito Cinese, che professa la riunificazione delle due Cine, ma con l’ex presidente e leader del partito Ma Ying-jeou dal 2008 ha messo in campo la politica dei “Tre no”, cioè no all’unificazione, no all’indipendenza e no all’uso della forza. Per farla breve, un “sì” alla proposta di Pechino di “una Cina, due sistemi”, sul modello di Hong Kong.
Il timore che parte da Taipei e arriva a Washington è che il Kuomintang possa prendere il controllo del paese e portare definitivamente Taiwan nell’orbita cinese.