di Giuseppe Gagliano –
Mentre i mercati asiatici vacillano e i dazi volano come proiettili diplomatici, la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina torna a incendiare le relazioni internazionali. Stavolta però il confronto non è più solo un braccio di ferro tra superpotenze economiche: è un sintomo del collasso dell’ordine multilaterale, ormai logorato da anni di sovranismi, emergenze globali e competizione strategica.
A far esplodere il nuovo scontro è stato Donald Trump, tornato alla carica con una tariffa del 34% su prodotti cinesi, nel quadro di un’iniziativa ribattezzata “Liberation Day”. Una manovra dal sapore elettoralistico, che punta a galvanizzare l’elettorato con il vecchio mantra dell’America First, ora rivisitato come vendetta contro Pechino per il presunto ruolo nella crisi del fentanyl.
La risposta cinese non si è fatta attendere: dazi simmetrici, ritorsioni mirate su prodotti strategici (sorgo, pollame, terre rare) e una causa davanti al WTO, che però appare sempre più come un organismo svuotato di forza. Pechino alza i toni: accusa Washington di “prepotenza economica” e invita le multinazionali americane, Tesla in testa, a “intraprendere azioni concrete” contro le politiche del loro stesso governo.
Il conflitto si gioca su due livelli. Il primo è commerciale, visibile e misurabile. Il secondo è politico-strategico: la Cina vuole mostrarsi affidabile agli occhi degli investitori globali, mentre gli USA brandiscono i dazi come arma di contenimento industriale. Dietro i proclami, si consuma una battaglia per il controllo delle catene di approvvigionamento, il dominio tecnologico e la leadership geopolitica.
Il portavoce cinese Lin Jian parla di “regole infrante” e “danni alla ripresa globale”. Ma il vero segnale è il gelo diplomatico: nessun incontro bilaterale previsto tra Xi Jinping e Trump. Pechino gioca la carta della resilienza interna, ma il crollo del 13% della Borsa di Hong Kong rivela la fragilità del momento.
Sullo sfondo, le aziende americane in Cina si muovono con cautela, temendo di essere stritolate tra i due fuochi. Alcune valutano il ridimensionamento delle attività; altre, più prudenti, restano alla finestra. Tutte però capiscono che la globalizzazione che avevano conosciuto sta morendo.