Tensioni Armenia – Azerbaigian: stabilità del Caucaso meridionale e dinamiche geopolitiche

Da giorni continuano gli scontri a colpi di artiglieria, oggi ucciso un civile azerbaigiano.

di Giuliano Bifolchi * –

Gli scontri militari tra Armenia ed Azerbaigian lungo la linea di confine registrati a partire dal 12 luglio 2020 riportano l’attenzione sul conflitto “congelato”, mai risolto e mal gestito, del Nagorno-Karabkh, il quale minaccia la stabilità del Caucaso meridionale e gli interessi degli attori regionali e internazionali.
Il conflitto del Nagorno-Karabakh torna a far parlare di sé come le ostilità tra Armenia ed Azerbaigian, republiche dello spazio post-sovietico che detengono una primaria importanza strategica e geopolitica nello scacchiere internazionale. Come successo in precedenza, anche in questo caso le notizie riportate da Baku e Erevan sono discordi.
Secondo quanto riferito dalle autorità armene, gli scontri sono iniziati nel pomeriggio del 12 luglio quando una jeep militare azerbaigiana avrebbe cercato di violare il confine. L’avvertimento delle forze militari armene ha comportato poi l’inizio di un attacco delle forze azerbaigiane che hanno usato anche artiglieria pesante non riuscendo, secondo sempre quanto affermato da Erevan, ad impadronirsi dell’avamposto nella zona di Tavush, situata nella provincia nord orientale armena.
La versione azerabaigiana rilasciata dal ministero della Difesa accusa invece le forze militari armene di aver attaccato le postazioni azerbaigiane in direzione del distretto di Tovuz utilizzando artiglieria pesante. Baku riferisce che le forze azerbaigiane hanno registrato in totale tre vittime, ma sono riuscite a mantenere il controllo della zona e a respingere l’avanzata nemica.
Comprendere chi abbia violato per primo il cessate-il-fuoco in questa parte di mondo è sempre difficile, visto il susseguirsi di notizie e accuse reciproche delle parti interessate. Il dato importante è che il conflitto armeno-azerbaigiano, dovuto al controllo della regione del Nagorno-Karabakh e di sette distretti limitrofi, continua ad essere un elemento di destabilizzazione e di attriti nella regione del Caucaso meridionale.
Regione che detiene una valenza geopolitica fondamentale e vede gli interessi di Federazione Russa, Unione Europea, Stati Uniti, Turchia, Iran e Cina scontrarsi per mantenere il controllo e l’influenza sulla regione.
Anche se nel 2017 Erevan si era avvicinata fortemente all’Unione Europea cercando di favorire una maggiore cooperazione e dialogo, l’Armenia in realtà ruota nell’orbita della Russia facendo parte dell’Unione Economica Euroasiatica e dipendendo da Mosca per quel che concerne la propria economia. Questa dipendenza ha visto però un raffreddamento dei rapporti Mosca – Erevan a causa della politica interna del premier armeno Nikol Pashinyan contro i precedenti ex presidenti a tal punto che lo stesso presidente russo Vladimir Putin era intervenuto nelle dinamiche interne armene in favore dell’amico Robert Kocharyan (l’ex presidente arrestato e poi liberato) entrando in aperto contrasto con l’attuale primo ministro armeno.
L’Unione Europea continua a guardare all’Azerbaigian per la propria strategia di sicurezza energetica essendo il paese caucasico ricco di idrocarburi e gas naturale. La stessa Italia è direttamente coinvolta nei progetti europei essendo il terminale ultimo del gasdotto transadriatico (TAP) il quale dovrebbe trasportare in Europa il gas naturale prodotto dal deposito di Shah Deniz nell’area azerbaigiana del Mar Caspio ed esportato prima attraverso il gasdotto transanatolico (TANAP) e poi passando per Grecia e Albania giungendo infine in Puglia. L’Azerbaigian si sta imponendo anche come hub logisitico nella regione del Mar Caspio ed è collegato alla Belt and Road Initiative o Nuova Via della Seta di Pechino presentandosi quindi come mercato dinamico per gli investitori stranieri interessati al business con lo spazio post-sovietico e con la Cina.
Se gli Stati Uniti sono allineati con la politica dell’Unione Europea e mirano a mantenere la propria influenza nel Caucaso meridionale (specialemente in Georgia) in opposizione alla presenza russa nel Caucaso settentrionale e al legame storico, politico, economico e culturale che lega Mosca a Baku, Erevan e Tbilisi, la Turchia (paese della NATO) supporta l’Azerbaigian nel conflitto contro l’Armenia e ha espresso diverse volte la volontà di essere maggiormente coinvolta nelle dinamiche caucasiche.
Anche la Repubblica Islamica dell’Iran esercita un’influenza geopolitica nel Caucaso meridionale avendo un legame storico-culturale con l’Azerbaigian, anche se le relazioni bilaterali Baku-Teheran hanno registrato alti e bassi essendo la repubblica azerbaigiana un partner commerciale di rilievo dello Stato di Israele, mentre l’Iran ha spesso utilizzato l’Armenia come “avamposto” nella regione oppure come mercato bancario dove gestire i suoi fondi in direzione europea durante il periodo delle sanzioni.
Interessi geopolitici che necessitano però di una stabilità del Caucaso meridionale minacciata spesso dai conflitti definiti “congelati” come quello del Nagorno-Karabakh che oppone Armenia ed Azerbaigian, e quelli inerenti Abkhazia ed Ossezia del Sud che vedono scontrarsi Russia e Georgia. Stabilità regionale fondamentale in special modo per i progetti europei di Partenariato Orientale e di Strategia Energetica e per la strategia cinese della Nuova Via della Seta che sembrano far emergere la repubblica azerbaigiana a livello economico-commerciale ed energetico.
Occorre inoltre evidenziare come questo acutizzarsi degli scontri avviene in un periodo storico particolare caratterizzato dalla diffusione dell’emergenza Covid-19 e dalle speranze di una possibile pace o tregua reale tra le due parti alimentate nel 2018 quando, a seguito della rivoluzione del Velluto, Nikol Pashinyan divenne primo ministro armeno e l’allora presidente Serzh Sargsyan fu costretto a dimettersi. Quelle speranze sembrano oramai svanite e neanche l’emergenza sanitaria è stata in grado di favorire maggiore cooperazione.
Il periodo che ha preceduto il 12 luglio è stato animato da scontri a livello mediatico da entrambe le parti con l’Armenia costretta a fronteggiare non solo l’emergenza Covid-19 e il conflitto per il Nagorno-Karabakh, ma anche una nuova crisi politica interna che vede opporsi l’attuale entourage che fa capo a Pashinyan con i clan dei precedenti presidenti armeni Robert Kocharyan e Serzh Sargyan. Problemi politici interni che avevano coinvolto nella dialettica anche il vicino Azerbaigian accusato in alcuni casi di voler inasprire la crisi interna.
Da subito il ministero della Difesa dell’Azerbaijan ha riportato in una nota in cui si legge che “L’esercito dell’Armenia ha ripreso il bombardamento di artiglieria delle posizioni dell’esercito dell’Azerbaigian, come il villaggio di Agdam nel distretto di Tovuz, con mortai da 120 mm”, e che “Nel corso delle battaglie notturne, grazie al fuoco preciso delle nostre unità con artiglieria, mortai e carri armati, sono stati distrutti una roccaforte, installazioni di artiglieria, attrezzature automobilistiche e forze nemiche combattenti. Due soldati dell’esercito azerbaigiano sono morti in battaglia. Attualmente le operazioni sono sotto il controllo delle truppe dell’Azerbaigian e sono state prese misure decisive contro il nemico”.
Da parte armena è stato fatto sapere attraverso il portavoce del ministero della Difesa Shushan Stepanyan che gli azeri avrebbero “tentato di prendere un caposaldo servendosi di colpi di artiglieria, ma sono stati respinti, senza comportare da parte nostra vittime”.
Le ultime notizie danno di un civile azerbaijano ucciso dai colpi di artiglieria, un 76enne residente nel villaggio di Aghdam, nel distretto di Tovuz.
Lo scontro tra le due repubbliche del Caucaso meridionale ebbe inizio nel 1988 e fu una conseguenza delle tensioni avvenute tra la fine degli anni ’80 ed inizi degli anni ’90, in special modo dopo la caduta dell’Unione Sovietica e la proclamazione dell’indipendenza delle ex repubbliche sovietiche. Nel 1992 scoppiò il conflitto tra Armenia ed Azerbaigian conclusosi nel 1994 con il cessate-il-fuoco tra le parti, un costo di 30mila morti e l’esodo di un milione di profughi. Al termine degli scontri l’Armenia era riuscita ad occupare il 20% del territorio dell’Azerbaigian comprendente il Nagorno-Karabakh e sette distretti limitrofi.
Per favorire il processo di pace l’OSCE aveva creato subito dopo la tregua il Gruppo di Minsk presieduto da Russia, Francia e Stati Uniti, che nel corso di questi anni ha registrato però una serie di insuccessi e rallentamenti. Attualmente il conflitto del Nagorno-Karabakh viene considerato un “conflitto congelato”, anche se sulla linea di confine tra le due parti sono numerose le violazioni del cessate il fuoco con pesanti ripercussioni a livello regionale.
Oltre ai paesi presidenti il Gruppo di Minsk vede la partecipazioen di Armenia, Azerbaijan, Italia, Bielorussia, Germania, Portogallo, Paesi Bassi, Turchia, Svezia e Finlandia.

* Giuliano Bifolchi. Direttore della OSINT Unit di ASRIE (Unità di analisi di Notizie Geopolitiche) e analista geopolitico specializzato nel settore Sicurezza, Conflitti e Relazioni Internazionali. Laureato in Scienze Storiche presso l’Università Tor Vergata di Roma, ha conseguito un Master in Peacebuilding Management presso l’Università Pontificia San Bonaventura specializzandosi in Open Source Intelligence (OSINT) applicata al fenomeno terroristico della regione mediorientale e caucasica.